Salvatore Baldinu
Arcipelago "Scuolag"
(diario di un insegnante)
Mercoledì 2 ottobre 1996,
alle ore 09.00, mi trovavo a Bergamo presso il Provveditorato agli Studi, in Via
Sant'Orsola, dove dopo circa due ore ero nominato supplente a tempo determinato,
fino al 30. 06. 97, per l'insegnamento di Lettere, sulla cattedra interna della Scuola
Media "Don Bosco" di
Canonica d'Adda.
Verso
mezzogiorno, alle 11.50, raggiunsi la sede della Scuola per la presa di
servizio: una delle due applicate mi disse che il Preside era in ferie e che la
cosa non era possibile; feci chiamare la vice-preside, che riaffermò
l'impossibilità della mia assunzione in quella data, perché l'orario delle
lezioni del giorno era stato già programmato.
"In
circa dieci anni d’insegnamento -dissi- è la prima volta che mi capita una
cosa simile!"; la prof. Pezzani rispose che lei non si sarebbe assunta la
responsabilità di mandarmi in classe, perché già un altro insegnante stava
per cominciare la lezione. Cercai di far valere i miei diritti e chiesi di poter
prendere servizio almeno nel pomeriggio; la stessa mi rispose che il Preside
aveva fissato ore di lezione solo per il mattino di quel mercoledì, non
disponendo, a suo dire, di supplenti e non avendo la certezza che per lo stesso
giorno il Provveditore ne nominasse uno. Siccome, inoltre, l'impedimento mi si
motivava anche didatticamente, chiesi se nell'unica ora in cui avrei potuto
prendere servizio la classe fosse stata affidata ad un docente di Lettere; la
vice-preside rispose di sì. Domandai dell'orario delle lezioni: l’altra
applicata m’invitò a controllare intanto quello dettato ai ragazzi, perché
il mio lo doveva preparare, e aggiunse che però era ancora provvisorio.
Giovedì 3,
prestai la mia prima ora di servizio nella classe 3^B; firmando sul registro, mi
accorsi che durante l'ora contestata si era svolta una lezione di Educazione
Fisica: verificai, così, che la vice-preside prof. Pezzani mi aveva mentito.
Uscii
alla seconda ora col permesso di recarmi a Monza per una visita oculistica
programmata in seguito ad un intervento chirurgico, che avevo subito in data
11.09.96, a causa di un distacco di retina. In seguito al controllo medico ebbi
dieci giorni di riposo; nella stessa mattinata comunicai la cosa alla scuola.
Venerdì 4,
alla consegna del certificato medico, fui accolto con freddezza dal personale
amministrativo che si lamentava di non poter, per quei pochi giorni, nominare un
altro supplente.
"Beh
-dissi, cercando di riscaldare un po' l'ambiente- se mi hanno dato così poco
significa che sto per guarire, in altre parole che dovrò rientrare
definitivamente: perciò prima riprendo l'insegnamento e meglio è per la
classe…o no?!".
All'improvviso
comparve il Preside: sembrava che andasse di fretta, tanto che a stento riuscii
a salutarlo e a chiedergli l'accesso alle documentazioni dell'anno precedente,
in pratica al registro del collega di Lettere e al libro dei verbali del
Consiglio di classe della 3^B. Il prof. Giuseppe Piantoni mi rispose di trovarsi
lì solo di passaggio, essendo ancora in ferie, e di cercare quanto chiedevo nel
cassetto del prof. Bottari insieme ai libri di testo; quindi si allontanò senza
darmi tempo di esprimergli la mia sorpresa.
Mi
spostai in sala-docenti e, come mi sembrava normale, nel cassetto del collega
trovai solo i libri adottati e nemmeno tutti. Il Preside intanto se n'era
andato. In segreteria non sapevano dove cercare né i registri né le cedole
librarie per i testi mancanti di Geografia, Grammatica e Antologia: io, a quel
punto, avrei dovuto procurarmi, secondo un'applicata, delle cartoline postali
per richiederli alle case editrici.
"Cerchi
bene in sala-professori -mi disse la segretaria- forse sono in qualche altro
cassetto!".
Là
dopo una nuova quanto inutile ricerca incontrai un collega di Educazione
Musicale che avevo già conosciuto due anni prima, quando in quella Scuola avevo
prestato un mese circa di servizio su nomina dello stesso Preside. Il prof.
Roberto Cacciaguerra mi parlò subito delle ore di compresenza nei laboratori
programmati e mi chiese che competenze avessi al riguardo; dopo un po' di
discussione, essendosi fatte quasi le dieci e dovendo ritornare a casa per
aspettare la visita fiscale, proposi al collega di vederci il giorno dopo,
nonostante fossi a riposo per convalescenza. Così lo salutai non prima di
riferirgli la strana risposta del Preside riguardo alla posizione dei registri;
e lui sbottò:
"Il
Preside meno lo cerchi e meglio è!".
Sabato 5,
recatomi a scuola, ripresi il confronto col prof. Cacciaguerra su varie ipotesi
di attività di laboratorio: in tal senso risposi alla sua domanda circa le mie
competenze proponendogli alcune idee già realizzate in anni precedenti, come un
lavoro sulla canzone o un'attività di drammatizzazione o, ancora, una guida
all'ascolto di telegiornali per ragazzi; ma il collega, non convinto, propose
un'attività di insegnamento e pratica del gioco degli scacchi. Accolsi la sua
idea con entusiasmo, spiegandogli che ero uno scacchista; sorprendentemente, però,
il Cacciaguerra non mostrò altrettanto entusiasmo per la mia competenza, e alle
mie parole replicò che forse "a pensarci bene" era meglio di no,
perché altrimenti Francesco, un alunno caratteriale della 3^B, "i pezzi
degli scacchi" ce li avrebbe "tirati in testa". In conclusione
riuscimmo ad accordarci su un "laboratorio cinematografico".
In
quello stesso giorno rividi il prof. Piantoni: era rientrato dalle ferie; mi
convocò in presidenza e, apprendendo dettagli sul mio stato di salute, mi
confidò che anche suo padre aveva avuto un distacco di retina, purtroppo ad
entrambi gli occhi, e non ne era più guarito.
Passarono
i dieci giorni di riposo prescrittimi dall'ultima visita medica.
Lunedì 14,
ritornai a scuola. Chiesi, come il primo giorno, l'orario delle lezioni: la
stessa applicata mi invitò, questa volta, a farmelo dettare dai ragazzi, perché
non aveva avuto tempo di prepararmelo; e aggiunse che però fra qualche giorno
avrebbe comunicato quello definitivo.
Era
il secondo giorno che vedevo i ragazzi della 3^B: chiesi per prima cosa alla
classe di avere copia dell’orario provvisorio; un’alunna me lo stese su un
foglio, sostenendo che si trattava già di quello definitivo (documento
1).
Rivolsi,
quindi, agli adolescenti delle domande per cominciare a conoscerli e per avere
immediate informazioni sulla loro esperienza scolastica in prima e seconda.
Alcuni rispondevano, ma i più si scambiavano battute; ogni tanto qualcuno, che
non riuscivo ad individuare, emetteva dei fischi assordanti. Ebbi, così, modo
di verificare di persona (me ne aveva accennato una collega, prima dell'inizio
dell'ora) che la classe presentava davvero, nella quasi totalità dei suoi
elementi, notevoli problemi relazionali.
Gli
alunni, nonostante i miei appelli all'ordine, continuavano a manifestare un
contegno scorretto con schiamazzi e versi d’ogni genere: richiesi allora
l'intervento del prof. Piantoni.
"Preside
-dissi con tono teatrale- mi dice in che specie di classe sono capitato?!".
"Professore
-rispose il prof. Piantoni- faccia una lista di quelli che disturbano e me la
mandi in presidenza!".
Nel
pomeriggio dello stesso giorno, presso la sala audiovisivi durante la visione
del film "Luci della città", prevista nel laboratorio
cinematografico, la turbolenza di diversi alunni costrinse il mio collega e me
ad interrompere l'attività e a ricondurre la classe nella propria aula.
Il
prof. Cacciaguerra, che poco prima aveva minacciato gli alunni di sottoporli ad
un duro dettato di Storia della Musica, mi permise in alternativa di scrivere
sulla lavagna alcuni versi dell’Iliade, da far copiare e imparare a memoria.
Martedì 15, all'inizio della lezione di Grammatica, un alunno mi chiese di
spiegare il periodo ipotetico, motivando di non aver capito la spiegazione del
supplente che mi aveva preceduto nei primi giorni di scuola. Controllai sul
registro, ma non trovai nulla.
"Si
sarà dimenticato di scrivere" sostenne un altro, insistendo perché
affrontassi l'argomento. Feci cenno al rapporto tra subordinata e principale
all'interno della proposizione condizionale, limitandomi però ad assegnare
degli esercizi molto semplici, senza approfondire il periodo ipotetico vero e
proprio nei suoi diversi tipi. Alla quarta ora, durante un "laboratorio
tennistico" che prevedeva la compresenza degli insegnanti di Lettere e
Educazione Fisica, gli alunni furono di nuovo condotti, per disposizione della
prof. M. Teresa Iacobacci, nella sala della televisione per assistere ad un
filmato d’istruzione tecnica sul gioco del tennis.
La
classe sembrava incontenibile: la collega di Ed. Fisica si sgolava per
richiamare i ragazzi all'ordine, poi di colpo uscì e ritornò col Preside.
Il
prof. Piantoni tenne un discorso, minacciando che metà della classe non sarebbe
stata ammessa agli esami; affermò, facendo i nomi di alcuni alunni, che avrebbe
fatto chiamare i loro genitori e che, dopo aver diviso la classe in due,
separando chi disturbava da chi aveva voglia di studiare, avrebbe chiesto ai
loro familiari di rendersi disponibili a badare ai propri figli durante
l’attività didattica.
"Sarebbe
un'ipotesi interessante" aggiunsi io, assecondando l'ironia del Preside, il
quale senza mutare la serietà del tono ripeté quanto detto il giorno prima,
invitando non la collega ma me a stendere una lista degli eventuali
indisciplinati e a fargliela pervenire in presidenza.
Giovedì 17 (il mercoledì era il mio giorno libero) verso le 07,45 telefonai a
Scuola, per comunicare che non stavo bene e che sarei potuto andare dal medico
solo nella serata.
Mi
fu chiesto il numero dei giorni: risposi che forse avrei potuto recuperare e
ritornare a Scuola il giorno dopo; e che comunque avrei avvisato per telefono
l’indomani mattina. Verso le 19.00, dopo aver atteso invano la visita fiscale,
mi recai dal mio medico, dott. Petrò, che mi rilasciò un certificato per quel
solo giorno, perché gli dissi di sentirmi meglio.
Venerdì 18, alle 07.40 telefonai a scuola per avvertire che sarei rientrato, ma
nessuno rispose. Mi affrettai, allora, ad uscire per raggiungere l'istituto con
qualche margine d’anticipo in modo da avvertire per tempo la segreteria; ma la
mia auto non partì subito (una Fiat 500 del '71), perciò arrivai con cinque
minuti di ritardo.
Un'applicata,
ricevendo il mio certificato medico per l'assenza del giorno precedente, mi
disse:
"Professore,
non può!"
"Perché?"
replicai, ma l'interlocutrice si dileguò in presidenza. Siccome tardava, andai
in classe. Qui trovai già in cattedra la collega di un altro corso, che quella
mattina era a disposizione nella 1^ ora e che, come mi vide, istintivamente mi
lasciò il posto, facendomi poi pervenire dei test di comprensione in
sostituzione del libro di Geografia: per quell'ora, infatti, i ragazzi non lo
avevano portato, perché il giorno prima era stato loro comunicato che io non
sarei rientrato.
Durante
la "prova di comprensione", una bidella mi sottopose il modulo per le
ore a disposizione; ne erano richieste tre in eccedenza, a scelta, più una
obbligatoria da fissare in una prima ora: le concentrai tutte nel giorno di
lunedì; così, con quella delle 08.00 avrei completato la mia presenza
settimanale di 18 ore, dato che con la 3^B ne avevo solo 17.
Sabato 19,
alle nove, la classe fu divisa in tre gruppi di alunni: a me ne furono affidati
sei per l'attività integrativa. I ragazzi proponevano giochi con le parole e
indovinelli vari; li assecondai, ma poi riuscii ad attrarre il loro interesse su
un racconto con relativo questionario: "Un taxi per le stelle" di
Rodari, che mi permise di farli esercitare sulla comprensione scritta. Durante
l'ora una bidella mi riportò il modulo sulle ore di eccedenza e a disposizione,
comunicandomi che avrei dovuto scegliere in modo diverso. Facevo subito rilevare
che non avrei potuto fissare, come invece mi era richiesto, nessuna eccedenza
per le otto di lunedì, essendo questa l'unica prima ora della settimana in cui
non avevo lezione; e che perciò in quell'ora verosimilmente sarei dovuto stare
a disposizione, per completare proprio con quella il mio orario. Senza
correggere nulla aggiunsi altre ore di disponibilità, sulla base delle
indicazioni riportate sul retro a matita dalla segretaria o dall'applicata.
Al
termine del servizio per quella mattina, verso le 11.00, in segreteria mi fu
consegnata una raccomandata a mano, recante sulla busta il numero "6" (documento
2).
Aprii
la busta, senza romperla, sollevandone il lembo ancora umido, e, dopo averla
letta esterrefatto, incontrai gli sguardi attenti delle due applicate, della
segretaria e del prof. Piantoni.
"Preside,
casco dalle nuvole!" fu la mia prima reazione.
"E'
possibile, che in un giorno solo, il quarto di presenza effettiva in questa
Scuola, mi si possano contestare ben tre addebiti? Come mai di fronte a tre
diverse mancanze non me ne ha chiesto conto con un colloquio preliminare, in cui
avrei potuto difendermi senza formalismi e ulteriori perdite di tempo?".
Dopo
le mie osservazioni, il prof. Piantoni replicò con tono alterato e di
rimprovero che gli stavo causando dei grossi disguidi.
Al
che gli chiesi di poterne parlare con calma in presidenza; qui il Preside chiamò
la sua segretaria, che affermò di aver ricevuto, giovedì 17, una mia
telefonata con la quale l'avrei avvisata che avrei preso più di un giorno di
malattia.
"Ha
capito male" affermai a mia volta.
"Io
ho sentito benissimo" ribatté lei.
"Naturalmente
io credo alla mia segretaria!" sancì il prof. Piantoni, lasciandomi di
stucco.
Dopo
aver spiegato il ritardo col difficoltoso avvio della macchina, affermai che in
un rilievo simile non ero incorso nemmeno verbalmente in nove anni
d’insegnamento.
"Così
questa classe la buttiamo ancora più a terra!" commentò il Preside.
Feci
notare di non aver ricevuto alcuna comunicazione riguardo alla terza ora di
venerdì, in cui mi si contestava l'assenza e che, non essendomi stato ancora
fornito l'orario personale né provvisorio né definitivo, avevo dovuto basarmi
fino su quello dettato alla mia classe (documento 1), che prevedeva per me
diciassette ore di lezione, e sul modulo con le disponibilità da me
regolarmente consegnato, fissante un'ora a disposizione obbligatoria, dunque la
diciottesima.
"Mi
risponda per iscritto! -precisò il Preside, ribadendo-… Comunque sappia che
io credo alla mia segretaria!".
Aggiunsi
di aver ripetutamente telefonato proprio per avvertire che avrei ripreso
servizio, ma che verso le 07,45, non ricevendo risposta, ero uscito per
raggiungere in tempo la Scuola.
Il
prof. Piantoni affermò che non era possibile, perché a quell'ora a Scuola
sarebbe stata già presente un'applicata.
Provai
ad insistere per convincere la segretaria a recedere e ad ammettere almeno che
poteva aver capito male; ma lei irremovibile:
"Ho
capito benissimo" riaffermò con un inequivocabile sguardo d'intesa verso
il Preside.
Me
ne andai alquanto contrariato e incredulo per quanto letto, sentito e visto: non
riuscivo a capire che cosa aveva spinto la segretaria a mentire e il Preside a
trattarmi così duramente, senza tener conto in alcun modo della situazione
delicata nella quale ancora mi trovavo dopo il recente intervento chirurgico; e
tanto più l'atteggiamento del prof. Piantoni mi sembrava privo di senso, quanto
più consideravo le confidenze fattemi sulla sofferenza patita anche da suo
padre, dimostrando che egli comprendeva bene la gravità della mia malattia, i
continui rischi di recidiva pure a distanza di tempo, le fastidiose cure e
precauzioni (anche dopo il rientro dalla convalescenza dovevo continuare ad
inocularmi tre tipi di collirio per tre volte il giorno ed ero costretto a
lunghi momenti d’immobilità); ma soprattutto non poteva egli ignorare le cose
da evitare per chiunque sia colpito da questo tipo di patologia: in primo luogo
le tensioni, data la natura nervosa della retina.
Raggiunsi
la mia abitazione guidando come un ubriaco.
A
casa, dopo aver telefonato a Scuola nel tentativo, risultato vano, di riparlare
col Preside (fui invitato a richiamare più tardi), rimasi per circa un'ora
imbambolato con quella "contestazione di addebiti" fra le mani,
abbandonato su una poltrona della cucina; mi scossi al suono del campanello: era
un vicino, col quale avevo un buon rapporto e che, vedendomi alquanto abbattuto,
me ne chiese la ragione. Gli sottoposi il documento e gli riferii della
discussione. Costui, nonostante dicesse di comprendere il mio stato d'animo, mi
suggeriva di rispondere con una lettera di scuse; e, poiché insisteva,
opponendosi senza ribattere alle mie argomentazioni, ad un certo punto scattai:
"Adesso
ti faccio vedere io!".
Attaccai
alla cornetta del telefono il microfono a ventosa di un registratore portatile e
composi il numero 161 dell’"ora esatta": era l'una e un quarto.
Mentre andava avanti la registrazione, chiusi e chiamai a Scuola. Rispose
un'applicata: le chiesi se il Preside fosse rientrato.
"No,
no … si vede che è andato direttamente a casa … non lo so".
"Come
… è l'una e un quarto: se n'è andato a casa … già?!"
"Sarà
andato alla sezione staccata!".
Mi
feci dare il numero dell'altra sede e chiamai. Dopo otto squilli, rispose
trafelata una voce:
"Scuola
media di Fara!".
"Sono
Baldinu…Buongiorno, c'è il Preside?".
"Sì
… chi lo desidera?"
"Sono
Baldinu".
"Aspetti…perché
so che è impegnato…attenda…!".
"Sì,
la ringrazio".
Dopo
qualche secondo, durante il quale scambiai due parole con il mio vicino di casa,
la voce rispose:
"Pronto?
Ha detto se per favore può mettersi in contatto lunedì, perché adesso lui è
impegnato!".
Verso
le 13,55 richiamai presso la sede di Canonica, per chiedere se il Preside fosse
per caso lì di passaggio.
"No!"
rispose una voce femminile.
"Ma
c'è allora lì… Neanche a Fara c'è?" replicai io.
"A
Fara, non saprei!".
"Niente,
io avevo… proprio urgenza di parlargli entro stamattina, ma vedo che non
riesco a rintracciarlo!".
"Non
saprei, perché la segretaria è uscita adesso in questo momento… io sono la
bidella!".
"Ah…
la segretaria è uscita… ma non sono ancora le due, però!".
"Sì,
le due giuste!…"
"No,
mancano due minuti!".
"Noi
guardiamo anche il mio orologio che su… sul polso… guardi è qua proprio
ancora… e anche se la chiamo!".
"Quanto
manca al suo orologio?".
"Io…
le due sono… il mio!".
"Le
due?… Bah… io… mancano due minuti!".
"Anche
questo che è in segreteria… sono le due giuste!…"
"La
ringrazio… la saluto!"
Dopo
di che chiamai il segnale orario, dal quale risultarono le ore 13 e 59 minuti,
trascorse da qualche secondo.
Lunedì 21
mattina verso le 9.30 cercai di rintracciare il Preside per telefono,
ma dopo due tentativi inutili, perché era inserito il fax, decisi di
recarmi a Scuola.
Chiesi in segreteria di poter parlare con il prof. Piantoni: mi fu risposto che era impegnato. Allora invitai la segretaria a rilasciarmi copia della comunicazione ai docenti sull'orario definitivo, nella cui circolare non c'era la mia firma per presa visione, poiché l'avviso era stato diffuso nel periodo in cui ero assente per malattia (docunento 3).
Mi
sentii rispondere che ci voleva il consenso del Preside; affermai che lo avrei
aspettato, ma fui invitato ad uscire dalla segreteria. Ritornai poco dopo per
chiedere che mi fosse rilasciata copia del modulo, nel quale avevo fissato le
disponibilità con l'ora di completamento: la segretaria voleva sapere perché,
affermando di non capire a che cosa potesse servirmi.
"Sono
affari miei" replicai seccamente, infastidito dal suo tono che non mi
lasciava dubbi sul fatto che avesse capito benissimo.
La
segreteria si diresse verso la presidenza, da dove, dopo alcuni secondi, sbucò
il prof. Piantoni, urlando e indicando la porta con due perentori:
"Fuori!…
fuori!".
Non
parlai, chiusi diligentemente la mia cartella e uscii, lasciando senza una
parola di reazione lui e l'intero personale amministrativo. Mi spostai in sala
professori per attendere di entrare in classe alle ore 11.00. Di lì a poco, un
bidello mi sottopose un quaderno a righe con la comunicazione dell'orario di cui
avevo appena chiesto copia, affermando che il Preside voleva che firmassi per
presa visione. Alla presenza dell'insegnante di Religione, Padre Giuseppe, dissi
al bidello di riportare il registro dal prof. Piantoni e di far apporre la data
del 21.10.96, così poi lo avrei firmato. Il bidello si rifiutò e abbandonò il
quadernone sul tavolo: mi vidi costretto a riconsegnare personalmente quella
circolare al Preside, che mi rimproverò per non aver atteso
l'"avanti", dopo aver bussato alla porta della segreteria; quindi il
prof. Piantoni si rifiutò di apporre la data sulla comunicazione; ed io non la
firmai.
Da quel momento cominciò a insinuarsi in me un senso di estrema diffidenza e quasi di paranoico sospetto: mi scoprivo impegnato costantemente ad analizzare ogni pur minimo dettaglio su tutto e su tutti. Poiché, ad esempio, avevo notato che le comunicazioni ai docenti erano diffuse su un foglio diverso da quello che raccoglieva le firme per presa visione e che quest'ultimo, privo di intestazione e di datazione, avrebbe potuto essere facilmente rimosso e sostituito (essendo appena spillato) decisi da quel momento in poi di apporre a fianco alle firme, da me rilasciate, le abbreviazioni dell'oggetto e la data del giorno in cui mi era presentato l'avviso (allegati 4 e 5, in cui la sigla T.V. accanto alla mia firma sta per Tabella Valutativa).
Quando
entrai in classe quella mattina proposi la formazione di gruppi di lavoro sul
programma, per perseguire due obiettivi: un maggior rapporto individuale fra me
e gli alunni e fra loro stessi (obiettivo educativo) e una preliminare visione
panoramica delle attività da svolgere nel corso dell'anno (obiettivo
didattico). La classe mi seguì molto interessata e i gruppi furono formati
attraverso una procedura chiara e accettata senza problemi dai ragazzi.
Quest'approccio mi avrebbe permesso di bruciare le tappe nella conoscenza degli
alunni, nonché di acquisire rapidamente informazioni sul livello di istruzione
e sulle capacità relazionali di ogni allievo. Ai gruppi così costituiti
assegnai il compito di definire il calendario degli argomenti da svolgere, sul
quale avrei poi formulato la programmazione educativa e didattica, cosicché gli
alunni, fin da subito, si sarebbero sentiti più motivati allo studio, perché
resi partecipi e protagonisti di scelte importanti.
Stabilii
dei tempi massimi per la realizzazione del progetto e, fatti riunire i banchi
per cinque gruppi, distribuii dei fogli ai coordinatori, che cominciarono la
consultazione degli indici sui loro testi.
Quella
mattina la classe lavorava diligentemente.
Si
spalancò la porta: il prof. Piantoni si rivolse direttamente ai ragazzi con
tono serio e altisonante, che non lasciava trasparire un giudizio preciso:
"E'
proprio questo il modo di lavorare" disse solamente e si dileguò
accompagnato dalla sua vice.
Nessuno
in classe capì, infatti, se quell'enunciato dovesse essere inteso come
un'esclamazione di approvazione o, al contrario, una domanda retorica.
Nel
pomeriggio durante il laboratorio cinematografico, la cui attività era stata
interrotta nell'intervento settimanale precedente, la classe apparve
completamente trasformata e ascoltò interessata le mie spiegazioni e i commenti
sulle immagini del film muto "Luci della città" di Chaplin; al
termine della visione somministrai agli alunni un questionario da me predisposto
per la ricostruzione della trama.
Martedì 22,
proseguì il lavoro di gruppo impostato il giorno prima:
La
classe reagisce positivamente, lavorando con interesse alla proposta degli
argomenti da svolgere
E’ una nota positiva su cui richiamai l'attenzione degli alunni, per gratificarli (documento 6).
Al
pomeriggio, decisi di andare a Treviglio, presso la Scuola Media
"Grossi", dove avevo lavorato negli anni precedenti: qui riuscii ad
avere un colloquio con la Preside (prof. Maria Mazza) alla quale riferii della
contestazione di addebiti e del trattamento infertomi dal prof. Piantoni il
giorno prima, quando mi aveva urlato di uscire dalla segreteria. La prof. Mazza
mi consigliò di parlarne col Provveditore, ma io le chiesi cortesemente di
intervenire, non sembrandomi opportuno, ancora all'inizio dell'anno, aprire un
contenzioso gerarchico. Le citai alcuni versi dell'Iliade da me “tradotti”
in rime dantesche:
Se
il misero fa un torto al gran signore,
deve
solo sperare negli dei,
perché
colui che gli serba rancore
non
scorderà col tempo quell'offesa:
alleverà
anche a lungo in fondo al cuore
la
sua vendetta e colpirà a sorpresa.
La
Preside sorrise, apprezzando l'antica saggezza; ed io, motivando così la
ricerca di una mediazione meno traumatica, le dissi:
"Non
vorrei essere costretto a sostenere per iscritto che la segretaria ha
mentito"; e la pregai, per quanto potesse, di convincere il prof. Piantoni
a soprassedere alla contestazione di addebiti.
Mercoledì 23,
pur non avendo lezione, feci un salto a Scuola per comunicare alla classe la mia
ora di ricevimento dei genitori, fissata per il giovedì: dettai l'avviso,
controllando che gli alunni con maggiori problemi lo scrivessero sul diario.
Giovedì 24, nessun genitore si presentò.
Durante
l'ora di laboratorio artistico la collega Giuditta Tinaglia mi sottopose una
bozza di programmazione dell'attività da svolgere in compresenza anche col
docente di Educazione Musicale. Nel testo dattiloscritto mi fece notare il nome
del prof. Bottari, perché voleva utilizzare come prototipo un documento redatto
l'anno precedente; poi aggiunse che, se fossi stato d'accordo, sarebbe bastato
sostituire il nome del collega con il mio. Accondiscesi.
Durante la preparazione del testo in questione, la prof. Tinaglia rimproverava i ragazzi con toni via via crescenti, invitandoli a disporsi secondo i gruppi già precedentemente definiti; il Preside, intanto, andava avanti e indietro di fronte alla porta aperta dell'aula di laboratorio. A un certo punto la collega mi sottopose, mentre ancora urlava contro gli alunni, tre copie della programmazione del laboratorio artistico; ed io, nel rimbombo assordante delle sue pesanti manate sulla cattedra per richiamare all'ordine la classe (che, in verità, non mi sembrava almeno in quel momento meritevole di un atteggiamento tanto veemente), ne firmai la prima copia (documento 7).
Il
prof. Piantoni in quel momento entrò nell'aula e io invitai gli alunni, che non
si erano mossi dal posto, ad alzarsi: quindi apposi altre due firme seguendo il
dito della prof. Tinaglia
Venerdì 25, durante le prime due ore con la 3^B portai avanti l'attività
programmatica. Alla terza ora mi spostai in 2^B, che fu divisa in due gruppi:
"recupero" e "potenziamento". La titolare della cattedra di
lettere mi comunicò che io avrei dovuto lavorare con il secondo gruppo,
composto dalla quasi totalità della sua classe, mentre a lei sarebbe toccato il
primo, formato da tre alunni. Confidai alla collega le mie perplessità
sull'opportunità didattica di quella scelta, ritenendo più sensato che al
gruppo maggiore dovesse provvedere proprio lei, per ovvi motivi; la stessa mi
rispose che il Preside aveva deciso così: e così fu.
Sabato 26,
un'altra ora di lavoro sul programma e poi "verifica di produzione
scritta": per permettere a tutti gli alunni di lavorare con tranquillità
chiesi alle colleghe di Inglese e di Matematica l'utilizzo delle loro ore; e
rimasi a disposizione della classe per quasi tutta la mattinata (senza vantaggio
retributivo).
Lunedì 28,
i ragazzi, ormai alla fase conclusiva dell'attività programmata, disposero i
cinque cartelloni previsti per il calendario degli argomenti mensili.
Il
tempo fissato per la chiusura di quest’attività era di circa venti ore: entro
il 31 ottobre il lavoro doveva essere portato a termine. Dopo il ponte festivo
(1-3 novembre), lunedì 4, le lezioni delle mie materie avrebbero intrapreso lo
svolgimento definito con la collaborazione degli alunni.
Martedì 29, portai a Scuola un gioco di scacchi e lo offrii al Preside con un
gesto distensivo. Il prof. Piantoni sorpreso balbettò che non poteva accettare
regali.
"Non
è per lei, Preside, -lo rassicurai- ma per la Scuola: il prof. Cacciaguerra mi
aveva prospettato la possibilità di un laboratorio
scacchistico, che vorrei tentare di avviare nonostante il suo ripensamento.
A quel punto il prof. Piantoni accettò la scacchiera con i relativi pezzi e se
la portò in presidenza.
In
classe, poiché nella prima mezz'ora i cartelloni programmatici erano stati
tutti ultimati, volli divertire gli alunni sorprendendoli con un'esposizione a
memoria di 480 versi dell'Iliade in rima, secondo lo stile di Dante, ma molto
comprensibile, che avevo composto qualche anno prima proponendola con successo
in un corso per lavoratori.
Esordii
ricordando di aver già detto loro che avrei potuto dettare a memoria fino a
circa 500 versi di quel testo; ma dopo averli tranquillizzati sulle mie reali
intenzioni, sottoposi loro una copia di un mio manoscritto, e declamai per circa
mezz'ora 480 endecasillabi. I ragazzi seguivano con gran meraviglia e in
assoluto silenzio la recitazione molto drammatizzata; e alla fine alcuni di loro
non si trattennero dal manifestare il loro sentimento di approvazione,
applaudendo (Quella
"traduzione" non doveva avere, comunque, solo uno scopo diversivo o
spettacolare: l'avevo concepita, studiata e realizzata, convinto di poterla
utilizzare per perseguire almeno altri due obiettivi didattici, quello della
comprensione di un testo importante sulle nostre origini culturali -ahimè oggi
oltremodo compresso e trascurato!- e quello dell'ampliamento lessicale basato su
un testo solido, concentrato e non ripetitivo di termini. Avevo proprio in mente
di avviare un laboratorio linguistico su quei versi; e nell'occasione comunicai
ai ragazzi l'idea. Poiché il prof. Piantoni, senza la benché minima
motivazione, ne fece, poi, oggetto di contestazione in un esposto al
Provveditore, ho ritenuto doveroso riportarne, a seguire, il testo integrale da
me presentato a memoria:
ILIADE
IN TERZINE).
Suonò
la campana della seconda ora. Due ragazze chiesero di uscire, asserendo di voler
parlare col Preside. Nascondendone l'ovvio motivo, corsero via prima che
acconsentissi; ma non me la sentii di fermarle, per non impedire che una novità
un po' curiosa seguisse il naturale iter di giungere alle orecchie del prof.
Piantoni.
"Chissà
come reagirà adesso" pensai.
Una bidella annunciò che doveva essere anticipata di un'ora la compresenza delle classi 3^A e 3^B, predisposta appena il giorno prima per l'attività di orientamento (documento 8; contrariamente a quanto risulta sul registro della 3^B: documento 9: perciò bisognerà controllare anche quello della 3^A e, eventualmente, allegare alla presente memoria copia della pagina relativa al 29 ottobre: documento 9bis).
Gli
alunni cominciarono ad uscire per spostarsi in un'aula più grande, quella dei
laboratori: dopo un po' alcuni di loro rientrarono di corsa lamentandosi che la
collega di Lettere, la vice-preside prof. Pezzani, titolare nella 3^A, li aveva
sgridati chiamandoli "buzzurri" e "pecorai": mi chiesero
perciò di intervenire in loro difesa.
Apparendomi
subito la cosa come una provocazione ben orchestrata citai istintivamente un
verso (287) dell'Iliade appena recitato:
Non
diedi, quindi, spazio alle lamentele invitando i ragazzi a ritornare nell'aula
di laboratorio. Qui la prof. Pezzani fece disporre i suoi alunni tutti nei primi
banchi e i miei tutti negli ultimi, motivando la sistemazione come punizione di
indisciplina: io mi astenni da interventi che potessero esporre i ragazzi ad uno
spettacolo poco pedagogico di un diverbio tra persone tenute a dare il buon
esempio.
Durante
quest'attività bussò un bidello che mi restituì il gioco di scacchi,
chiedendomi con mandato del Preside di sistemarlo nella mia aula: ed io così
feci.
Più
tardi, alla quarta ora (e non alla seconda, come erroneamente registrato), che
era rimasta libera dall'attività di orientamento, i miei alunni continuarono a
lamentarsi dei maltrattamenti verbali subiti dalla prof. Pezzani ed io, vedendo
la classe deconcentrata perché potessi ragionevolmente riprendere il discorso,
per distendere gli animi e dietro le loro insistenze acconsentii a introdurre il
gioco degli scacchi. I ragazzi soprattutto sembrarono molto interessati. Alcuni
di loro, già in possesso delle nozioni fondamentali sul gioco, mostrarono
subito di essere in grado di sostenere una partita: così li feci giocare a
turno. Le ragazze preferivano starsene in disparte a discutere in gruppo,
nonostante le invitassi continuamente ad assistere: mi accorsi che fra loro
serpeggiava un certo malumore; provai a saperne qualcosa, ma inutilmente.
Quella
mattina, al termine delle lezioni, discussi con la collega di Matematica sui
"test di Moreno" e richiesi in segreteria di consultare le norme sulla
conduzione del Consiglio di Classe, con particolare riferimento al ruolo del
coordinatore: ebbi copia di alcune pagine di un regolamento.
Nel
pomeriggio durante la prima riunione del Consiglio di Classe, dopo gli
interventi di uno psicologo e di una sociologa sulla situazione di un alunno non
appartenente alla 3^B, il prof. Piantoni riferì ai docenti i punti sostanziali
e generali del suo compito, precisando che "il Preside meno si cerca e
meglio è": principio questo che, a suo dire, se osservato avrebbe potuto
stabilire il grado di professionalità degli insegnanti della sua Scuola;
viceversa avvertì che intendeva coordinare e controllare le attività
didattico-metodologiche programmate dai docenti, affermando che non avrebbe
tollerato che qualcuno ignorasse i test sociologici di Moreno o non conoscesse
ancora bene la normativa riguardante la propria professione.
Si
passò dunque all'analisi degli elementi di valutazione didattica fino a quel
momento acquisiti. Alcuni colleghi dichiararono di non essere ancora in grado di
formulare un giudizio sulla classe; e proposero di aggiornare alla successiva
seduta il punto all'ordine del giorno; io affermai che qualche elemento potevo
presentarlo in base ad alcune prove d'ingresso già corrette. Mi stavo
accingendo a presentare la situazione di partenza quando il Preside
m’interruppe:
"Baldinu,
i suoi colleghi si lamentano che, durante le attività, dalla sua aula proviene
un gran chiasso!".
"Preside
-risposi- nel lavoro di gruppo, a volte, è inevitabile un po' di rumore! In
ogni modo, se ha dei rilievi personali da farmi, questa non è la sede!".
"Lei,
Baldinu, si sente perseguitato… spiato?… Stamattina sono passato davanti
alla finestra della 3^B e lei ha commentato la cosa, dicendo agli alunni… il
Preside mi controlla!".
"Lei,
Preside, ha sentito male… Io non ho detto mi
ma vi… controlla!".
"Ho
sentito bene!… Baldinu, lei ha detto mi
controlla!".
"Lei,
Preside non è passato davanti alla
finestra, ma ha passeggiato, leggendo un giornale, ad una certa distanza nel
prato!… Com'è così sicuro di aver sentito bene?".
"Come
mai lei avrebbe detto il Preside vi
controlla!?".
"Preside,
era solo una battuta scherzosa per scuotere qualche ragazzo indietro col
lavoro!".
"Comunque
io ho sentito bene, perché alcuni alunni me lo hanno confermato!".
"Lei
ha chiesto conferma ai miei alunni prima di parlarne con me?!".
"No,
sono venuti a riferirmelo… Io ho un rapporto di apertura con gli allievi della
mia Scuola… sanno che, quando vogliono, possono venire da me a confidarsi!”.
"Le
hanno riferito male, Preside! -replicai- Anche quest'altro rimprovero, però,
lei avrebbe dovuto muovermelo in sede privata!…Ora -aggiunsi- mi consenta di
proseguire con l'analisi dei dati finora acquisiti per la valutazione!".
Il
prof. Piantoni, ritornò sul primo rilievo:
"Baldinu,
i suoi colleghi di corso e delle altre sezioni si sono lamentati che durante le
sue lezioni sono costantemente disturbati da schiamazzi provenienti dall'
aula… Io stesso, poi, sono dovuto intervenire diverse volte per riportare
l'ordine in 3^B!… Lei, Baldinu, non è in grado di far osservare la disciplina
agli alunni!".
"Preside,
le ripeto, per la terza volta: rilievi di questo genere me li faccia in
privato!".
Il
prof. Piantoni rincarò la dose:
"Se
uno non sa fare il suo mestiere, se ne stia in casa: in questa Scuola si
applicano metodologie ben precise… Chi come lei, Baldinu, tende ad
improvvisare, farebbe bene a trovarsi un'occupazione diversa
dall'insegnamento!".
Sbalordito
da tanta durezza, al colmo dell'irritazione, senza più dubbi sulla malafede del
prof. Piantoni, rimasi per un attimo completamente annichilito, essendo colto da
un'idea tanto improvvisa quanto illuminante.
Nell'attimo
seguente:
"Senta,
Preside: il secondo giorno che sono entrato in classe, lunedì 14 ottobre, ho
dovuto farla chiamare perché gli alunni erano incontenibili. Lei in
quell'occasione mi disse: Professore,
faccia una lista di quelli che disturbano e me la mandi in presidenza.
Il
terzo giorno, martedì 15, fu la collega di Educazione Fisica a chiedere il suo
intervento e lei dopo aver fatto la predica alla classe con curiose ipotesi, si
rivolse non alla collega ma sempre a me, ripetendo: Professore, scriva su un foglio i nomi di quelli che disturbano e me lo
mandi in presidenza!".
Sabato
19: questa!". Tacqui e sollevai una busta gialla.
"Quella
è la busta della contestazione di
addebiti, la riconosco perché sopra c'è scritto raccomandata a mano n.6!".
"Quale
contestazione di addebiti, Preside! -replicai-… quale contestazione di
addebiti! -ripetei con tono teatrale, deciso e perentorio-… Le pare che io
parlerei delle mie questioni private in un Consiglio di Classe?… Qui dentro ho
trovato per la terza volta e per iscritto la sua richiesta di una lista dei
ragazzi indisciplinati!".
La
Medusa di Perseo non avrebbe saputo pietrificare meglio il Preside e tutti i
docenti del Consiglio; ma l'incantesimo si ruppe (probabilmente per l'ottimo
allenamento e la buona forma del prof. Piantoni nel sostenere ruoli marmorei);
e, così, il Capo d'Istituto proruppe:
"Mostri
al Consiglio quello scritto!".
"Non
me lo trovo più! -risposi-… ma in segreteria forse lei potrà trovarne una
copia!"
A
quel punto il prof. Piantoni si alzò in piedi:
"Io
accusato di falso?!… E' la prima volta!… Io me ne vado!… Se lo volete come
coordinatore uno così, tenetevelo pure!… Io me ne vado!"; e abbandonò
la sala delle riunioni.
Naturalmente
non era vero niente: mi ero inventato tutto, ritenendo, prontamente, legittimo
difendermi con un falso di fronte ad un durissimo attacco accusatorio fondato su
una serie di falsità. Un falso sì, ma non per ingannare; un falso sì, ma un
espediente didattico simile per efficacia all’assurdo dei matematici; un falso
sì, ma per parare il colpo di una molestia morale in crescita sempre più
pericolosa. Tutto ciò, in ogni modo, doveva essere lampante a chi aveva udito
il tono retorico e cattedratico della mia sortita.
Incrociai
gli sguardi dei colleghi, che avevano compreso, da esperti di comunicazione, il
senso della mia reazione e quindi della differenza fra una frase e un enunciato.
Su quella mia performance non ritenni perciò di dover fornire delucidazioni
almeno per il momento.
M'interrogavo
piuttosto su quanti avessero davvero capito il senso del comportamento del
Preside.
Il
collega di Educazione Tecnica, prof. Lombino, si spostò e si sedette vicino a
me, nello spazio vuoto tra la mia posizione e quella che aveva occupato il prof.
Piantoni.
Parlai
per alcuni minuti spiegando ai colleghi i problemi della classe; ma poi,
riflettendo sulla situazione e sul contrasto col Preside, misi in evidenza il
lampante errore del prof. Piantoni: e cioè il fatto che egli rimetteva al
Consiglio la decisione se mantenermi o no nell'incarico di coordinatore
assegnatomi da lui stesso, che in base alla normativa avrebbe dovuto scegliere
una persona di sua fiducia. Mancando, dopo quanto successo, quella fondamentale
condizione, sostenni inoltre che il compito di dirigere i lavori del Consiglio
dovesse essere affidato ad altri; quindi proposi di essere sostituito dalla
collega di Matematica.
Alcuni
docenti cercarono di convincermi a continuare lo stesso: ma io, visto lo stato
di confusione provocato dagli ultimi eventi e preso atto del rifiuto del
segretario, prof. Cacciaguerra, di verbalizzare le accuse e i pesanti giudizi al
mio indirizzo da parte del prof. Piantoni, non parlai più fino alla fine della
seduta.
Mi estraniai completamente da quanto si continuava a discutere; e, cercando di prevedere le conseguenze della mia reazione agli attacchi del Preside, cominciai pian piano ad immergermi in un mare di immagini particolareggiate riproducenti quella situazione, alla ricerca di un senso o di un collegamento tra loro. Ad un certo punto la mia analisi s’inabissò, attraversando velocemente i giorni precedenti, e, dopo qualche anno, toccò un fondale; perlustrandolo ritrovai ancora in perfetto stato i ricordi di un'esperienza d’insegnamento presso la Scuola Media Statale "Grossi" di Treviglio: mi si parò di fronte il prof. Valerio Alinovi col volto semi-schermito da due documenti tenuti tra il pollice e l'indice di una sua mano protesa verso di me; lentamente, il Presidente d’esame (allora Preside di Osio Sopra) alzò l'altro braccio mostrandone altri due (documenti 10-11-12-13).
Certo
che i reperti di quella profondità costituissero la chiave della condotta del
prof. Piantoni, mi preparai alla risalita valutando le dovute decompressioni.
La
riunione del Consiglio fu sciolta proprio nell'attimo in cui mi sembrava di
emergere da quell’accecante e remoto mare d’immagini e ricordi.
Mi
scossi dall'isolamento e chiesi alla collega di Educazione Artistica, prof.
Giuditta Tinaglia:
“Fammi
vedere l'originale della programmazione relativa al laboratorio artistico o, più precisamente, la matrice con le righe
anche sul retro”.
“Non
capisco!” mi rispose la collega.
“Dov’è
quel foglio?… ho bisogno di controllarlo!… ti spiegherò dopo!” replicai.
“Perché?…
non ne vedo lo scopo!”.
“Voglio
controllare che sia tutto regolare!”.
“Ma
cosa non sarebbe regolare?” ribatté la prof. Tinaglia.
“Fammi
vedere quel documento!… poi te lo spiego!” insistetti con voce più
sostenuta, tanto da attirare l’attenzione di altri colleghi, che si stavano
riunendo per discutere di un’altra classe.
La
vice-preside, prof. Stella Pezzani, s’intromise proferendo:
"Lasciatelo
stare!… è un provocatore!".
La
prof. Tinaglia uscì dall’aula del Consiglio e si fermò a parlare
nell’atrio con il collega Cacciaguerra; là mi rivolsi ad entrambi:
“Sentite!…
ho il sospetto che al posto di una copia di quel documento io abbia firmato
qualcosa d’altro!… dunque ho bisogno di controllare tutte e tre le copie da
me sottoscritte della programmazione del laboratorio
artistico! E poiché la copia in mio possesso è ripresa da un originale a
righe, se questo non dovesse coincidere con una delle altre due copie, voglio
che salti fuori anche quel foglio, per capire perché non sia stato utilizzato
al posto di una delle tre copie!”.
I
colleghi reagirono affermando che mi sbagliavo. Io però continuai a insistere
perché mi fosse mostrato ciò che chiedevo, finché la prof. Tinaglia rispose:
“Io
quel foglio non lo ho con me!… perché non lo chiedi al Preside?!”.
“Il
Preside è ancora qui?!… non se n’era andato via offeso?!… Dimmi… come
mai quel foglio è stato scritto a penna?… non mi avevi assicurato che dovevi
semplicemente mettere il mio nome al posto di quello del prof. Bottari?!”.
La
collega non rispose e, in evidente imbarazzo, proruppe:
“Se
vuoi, possiamo cercarlo?!”; e si diresse col prof. Cacciaguerra verso l’aula
dei laboratori, da dove ritornò dopo qualche minuto, affermando che quel foglio
della programmazione non si trovava.
"Non
è che lo hai tu?!" insinuò con faccia spaesata la prof. Tinaglia.
"Io?!…
mi prendi in giro?!… io ho solo una copia… la mia… quella che mi hai dato
tu… una delle tre che ho firmato… ho solo quella che ha firmato anche
lui!” replicai, indicando il collega.
"Ma
di che cosa hai paura?".
"Ho
paura per voi!… State bene attenti, perché se mi succede qualcosa, qui la
scuola salta!… Ho già comunicato al mio avvocato che sospetto un furto della
firma! -ribattei e, ostentando sicurezza, continuai-… Io so perdonare!… ma
voglio controllare subito quel documento!… se l’originale che ti ho chiesto
salta fuori, bene!… altrimenti denuncerò te ed il Preside!… Come mai è
stato compilato a mano e su un foglio a 31 righe?… Io di solito scrivo su
fogli uso bollo a 25 righe. Se qualcuno ha avuto in mente di farmi qualche
scherzo… io ora sono tranquillo!".
Dissi,
ma al contrario la mia tranquillità finiva proprio in quel momento: perché il
sospetto che mi si fosse fatta firmare con un inganno qualcosa d’altro al
posto di una copia del programma di "laboratorio artistico" si era
enormemente rafforzato per la mancata esibizione proprio di quel documento da
parte della prof. Tinaglia; e, ciò che era peggio, perché avevo proceduto a
un'indagine su un furto presunto, chiedendo a un ipotetico ladro di fornirmi le
prove del suo crimine, tanto, perciò, da informarlo di aver scoperto tutto e di
accingermi a denunciare lui e i suoi eventuali complici. A ipotesi fondata, si
poteva configurare per me una situazione di estremo pericolo: avevo quindi
inventato la storia dell'avvocato, perché si sapesse anche che non ero solo.
I
due colleghi mi osservarono per un po' con espressione indecifrabile, poi con
uno sguardo d'intesa si allontanarono dall'atrio.
Stavo
per andar via, quando mi venne in mente che dovevo consegnare per iscritto le
controdeduzioni alla "contestazione di addebiti" del Preside: non
farlo mi avrebbe esposto a un altro duro attacco del prof. Piantoni, non avendo
senso, a quel punto, sperare che egli soprassedesse alle formalità.
Guardai
verso la segreteria e la presidenza rimaste aperte e al buio: poi non trovando
nessuno cui poter consegnare la mia risposta (che riassumeva quanto già detto
direttamente al Preside in data 19 ottobre), varcai l'uscita. Erano già
trascorse le 19,30 e avevo perso ogni speranza di spedire le controdeduzioni
attraverso un ufficio postale; mi affrettai, lo stesso, a uscire dalla Scuola e
ad attraversare il cortile per raggiungere la mia 500, temendo che mi succedesse
qualcosa di peggio.
Mercoledì 30,
in una bella mattinata di sole, raggiunsi a piedi la Scuola (non avendo lezione)
e presentai una domanda con cui richiedevo copia del verbale del Consiglio di
Classe (secondo la procedura indicatami dal Preside, che avevo informato di
quella domanda per telefono, prima di uscire da casa).
Una
delle applicate trovò strana la richiesta e mentre la protocollava, poiché
attendevo un riscontro, mi chiese:
"Non
si fida?!".
"Sì
-risposi-… voglio conoscere il numero di protocollo!".
"Milleottocentosettantotto!".
Giovedì 31
ottobre,
presi un giorno di permesso per potermi recare a Monza per un controllo, fissato
nell’ultima visita, presso il reparto oculistico dell'Ospedale "San
Gerardo".
Lunedì 4 novembre, al rientro dal ponte festivo, pur avendo lezione a cominciare dalla quarta ora, verso le 9.00 ero già a Scuola per affrontare il Preside su quella situazione sempre più insostenibile. C'era un gran movimento: si stava preparando una riunione di tutte le classi per la celebrazione dell'anniversario della Vittoria. Mentre il prof. Piantoni leggeva un messaggio del Presidente della Repubblica, mi fu passato un modulo, perché esprimessi un assenso o un rifiuto di partecipare il giorno seguente a un'assemblea sindacale annunciata agli alunni (anche questa!) appena il giorno prima: dovendo produrre un'altra firma, mi misi subito in allarme. Stavo per apporre una croce sopra il NO, quando mi trattenni, riflettendo che il segno avrebbe potuto essere giudicato come una cancellatura, così da permettere che la mia scelta fosse interpretabile come un SI'. Risolsi il problema, segnando sotto il NO una piccola croce sull'esiguo spazio lasciato a disposizione lungo la riga del mio nome (documenti 14-15-16-17).
Verso le 10.00 il prof. Cacciaguerra mi sottopose il Registro del Consiglio di Classe della 3^B, invitandomi a sottoscrivere il verbale della riunione del 29, che, a suo dire, aveva dovuto redigere d’urgenza, poiché io ne avevo chiesto copia il giorno 30 (documento 18).
Dopo
un’attenta lettura del suo testo, feci notare al prof. Cacciaguerra che quanto
egli aveva riferito sul mio primo intervento era privo di motivazione e, quindi,
di senso. Mancavano, infatti, le accuse all’inizio generiche, poi allusive e
via via sempre più focalizzate su di me da parte del prof. Piantoni, che aveva
aperto la seduta in questo modo:
Il
Preside meno si cerca e meglio è!
Ricordai,
così, al collega che dopo quella massima il prof. Piantoni, annunciando la sua
intenzione di coordinare e di controllare le attività didattico-metodologiche,
si era dilungato in una serie di considerazioni, riferimenti, analisi e
affermazioni, che, partendo da premesse generali sul compito degli insegnanti,
avevano individuato in me il responsabile di risposte non idonee (per lui!) alle
esigenze degli alunni.
Dissi
inoltre al prof. Cacciaguerra che nella verbalizzazione aveva omesso il mio
ripetuto invito al Preside di attenersi alla normativa e di espormi rilievi o
rimproveri personali in sede riservata; mentre nello stesso verbale si sarebbe
dovuto rendere evidente che il prof. Piantoni si era spinto ad esternare un suo
parere, estremamente offensivo e lesivo dei miei diritti e della mia dignità,
con la frase seguente:
Chi
come lei, Baldinu, tende ad improvvisare farebbe meglio a fare un altro
mestiere!
Richiamai
alla memoria del collega le frasi, con le quali il Preside mi aveva interrotto,
quando avevo cercato, unico tra i docenti, di presentare i dati sulla situazione
di partenza della 3^B:
Lei,
Baldinu, si sente perseguitato… spiato?!… Stamattina sono passato davanti
alla finestra della sua classe e lei ha commentato agli alunni: ”Il Preside mi
controlla!”.
Ricordai,
quindi, al collega la mia risposta:
Io,
continuando, chiesi al collega di inserire nel resoconto della seduta almeno la
grave accusa che il prof. Piantoni ad un certo punto mi aveva rivolto di fronte
a tutti:
…
Lei, Baldinu, non è in grado di fare osservare la disciplina nella classe!
Contestai,
quindi, al prof. Cacciaguerra di aver distorto i fatti, capovolgendoli, giacché
era stato il Preside per primo a lanciare false accuse nei miei confronti (il
prof. Piantoni alla mia performance avrebbe dovuto reagire con una risata, senza
alcun bisogno di riferire al Consiglio dell’esistenza di una contestazione
di addebiti in base all’esibizione della sua busta vuota, dimostrando, così,
solo di essere istintivamente propenso a calpestare l’altrui diritto alla
riservatezza; mentre io, per deformazione professionale più che per interesse
personale, era portato a dimostrare, con un utilizzo rapido e sapiente dei ferri
del mestiere, attraverso le stesse parole del Preside la sua propensione
all’offesa); e lo invitai a far risultare nel verbale le motivazioni del mio
comportamento, sebbene per me non solo il Preside ma anche tutti i colleghi
presenti (persone che, se non pretendevo troppo, dovevano essere in grado di
distinguere tra una frase e il suo enunciato) avevano compreso l’autentico
senso della mia reazione difensiva, in pratica di un’invenzione dialettica
(contenuto di una lezione in quel momento davvero improvvisata), con la quale
tendevo a:
_smascherare
un piano offensivo del prof. Piantoni, evidenziando che egli fin dall’inizio
aveva cercato di mettermi la classe contro, chiedendomi ripetutamente di
scrivere i nomi degli indisciplinati non sul registro (strumento naturale per
questo scopo) ma su un “foglio” da consegnargli, così da provocare negli
alunni in lista un risentimento da proscritti;
_dissuadere
lo stesso Preside dal protervo tentativo di screditarmi pubblicamente, per
contrastare il mio lavoro: il prof. Piantoni stava, infatti, confidando ai miei
colleghi e agli alunni (oltre che agli altri operatori scolastici) le sue
pregiudiziali opinioni su di me, per convincere gli adulti ed indurre gli
adolescenti a comportamenti di disturbo fino al sabotaggio (pratica sempre più
diffusa negli ambienti di lavoro, ma studiata in Italia solo di recente: si
tratta del mobbing).
Avanzai,
perciò, al prof. Cacciaguerra, le mie riserve sul comportamento del prof.
Piantoni e in particolare sulla motivazione di “offesa personale”, per
giustificare l’abbandono della riunione durante il Consiglio della 3^B,
osservando che il Preside si era inventato un risentimento personale, solo per
sottrarsi alle mie spiegazioni e formularmi così nuovi addebiti (come poteva il
prof. Piantoni dichiararsi offeso verbalmente da me dopo avermi esposto al
pubblico disprezzo?!… ma dal verbale non emerge proprio l’offesa pubblica
che il Preside ha indirizzato contro la mia persona, cosicché bisognerebbe
dedurne che io senza motivo abbia per primo attaccato il Preside, quando ancora
doveva apparirmi integra la possibilità che egli accogliesse le mie
controdeduzioni alla sua “contestazione di addebiti”, sempre che io non
fossi fuori di senno, come in seguito il prof. Piantoni s’ingegnerà a
sostenere in un esposto al Provveditore).
Gli
puntualizzai che, contrariamente alla normativa, anch’egli si era sottratto al
compito di riassumere almeno per sommi capi il mio intervento successivo alla
diserzione del prof. Piantoni, durante il quale avevo esposto al Consiglio la
mia metodologia didattica, elaborata in funzione della particolare situazione
della classe.
Dissi
ancora al prof. Cacciaguerra che sul verbale non c’era traccia della mia
conseguente riflessione sulla figura del coordinatore in base alla normativa; e
cercai di far capire al collega il mio disagio nel continuare a svolgere quel
compito che avrebbe richiesto la fiducia del Preside, il quale ambiguamente mi
aveva attaccato senza formalmente togliermela, avviando il pasticcio di
rimetterla al Consiglio.
Lo
avvertii, in conclusione, che se non mi fosse stata data l’opportunità di
aggiungere al verbale del 29 ottobre le mie considerazioni, non lo avrei
sottoscritto come coordinatore, ma ne avrei chiesto la disapprovazione nella
seduta successiva, riservandomi di sporgere denuncia per dichiarazioni false,
offensive e tendenziose.
Il
prof. Cacciaguerra negò la possibilità di modificare il testo senza il
consenso del Preside, asserendo di aver scritto ciò che lo stesso prof.
Piantoni gli aveva dettato, e mi invitò a parlarne con lui.
Mi
rifiutai, quindi, di firmare il verbale del Consiglio di Classe della 3^B.
Verso
le 10,30, immediatamente dopo la discussione col collega, fui ricevuto dal prof. Piantoni.
Esordii affermando che volevo spiegare il mio comportamento durante il Consiglio di Classe (vedi lettera “e” nell'esposto del Preside al Provveditore, di data 6 novembre '96: documento 19).
Il
Preside sorvolò, informandomi di aver letto la mia traduzione dei primi versi
dell'Iliade: me ne chiese spiegazione e motivazione. Io, come avevo già fatto
con gli alunni, spiegai e motivai quella scelta anche al prof. Piantoni, che
ironicamente ammise di aver apprezzato certi passaggi.
Io
cercai poi di giustificare la mancata risposta per iscritto alla sua
contestazione di addebiti entro il 29 (data di scadenza dei dieci giorni
previsti), sostenendo che era mia intenzione consegnargliela personalmente alla
fine del Consiglio; ma che, essendosene egli andato via “offeso” prima della
conclusione dell'assemblea, mi era stato impossibile regolarizzare la consegna
delle controdeduzioni anche perché, essendosi fatto tardi, in segreteria non
c'era più nessuno e gli uffici postali erano ormai chiusi.
Ribadii
pertanto la mia disponibilità a giungere a una pacificazione e, poiché,
nonostante tutto, egli non mi a aveva ancora sollevato dall'incarico di
coordinatore della 3^B, continuando implicitamente a ritenermi persona di sua
fiducia, gli chiesi di soprassedere alla contestazione di addebiti.
Il
prof. Piantoni non raccolse e reagì, affermando che proprio quella mattina mi
avrebbe fatto consegnare un "avvertimento scritto".
"Se
lei non avesse prima rinviato e poi abbandonato il Consiglio, avrei fatto in
tempo a consegnarle la controdeduzioni o a spedirgliele!… Se lei vuole…
posso farlo ora!".
"Lei,
Baldinu, oggi riceverà l'avvertimento scritto, perché ormai i termini sono
scaduti!".
Replicai,
dicendo di aver incontrato poco prima nell'atrio il prof. Cacciaguerra che mi
aveva chiesto di firmare come coordinatore un verbale falso e per me
compromettente:
"Preside,
qui la cosa è grave!".
Se
il prof. Piantoni mi avesse chiesto, come sarebbe stato naturale, il significato
di quella frase per lui oscuramente
minacciosa (se lo avesse fatto, data la rilevanza, lo avrebbe riferito
alla lettera e del suo esposto),
gli avrei spiegato che il termine "cosa" stava al posto di
"incoerenza" dei suoi atti.
Ma
il Preside scattò in piedi, uscì dalla presidenza e ritornò con la prof.
Pezzani e la responsabile amministrativa, che invitò a mettere a verbale le mie
dichiarazioni.
"Il
prof. Baldinu mi ha minacciato, perché gli ho comunicato che in mattinata
riceverà un avvertimento scritto, a causa della mancata giustificazione alla
contestazione di addebiti!" riferì in mia presenza.
Io,
rivolgendomi a mia volta alla sua collaboratrice e alla segretaria dissi di non
aver affatto minacciato il Preside, ma che, al contrario, con tono conciliatorio
avevo cercato di commentare il mio intervento durante il Consiglio di Classe. E
dopo una lunga pausa, soggiunsi:
"E'
strano!… poco fa ho parlato con il prof. Cacciaguerra, che mi ha fatto leggere
un verbale mutilato e, per quanto mi riguarda, privo di senso, ma soprattutto
fortemente penalizzante per me!… ciò nonostante il collega mi ha invitato a
firmarlo addirittura per primo!… Io sarei stato disponibile a stendere
d’accordo con lui e col Preside, un resoconto della seduta, tralasciando fatti
ed attriti personali, e a sottoscriverlo come coordinatore!… ma a questo punto
nello stesso verbale si dovranno riportare almeno le motivazioni del mio primo
intervento!… Il prof. Cacciaguerra mi ha anche detto di esser stato
sollecitato dal Preside, a redigere il verbale al più presto per farmelo
leggere, firmare e rilasciarmene copia, vista la mia richiesta del 30 ottobre;
il collega mi ha per giunta precisato di aver scritto solo ciò che il Preside,
gli avrebbe dettato!… Il prof. Piantoni, dunque, poco prima di convocarmi qui
mi ha proposto attraverso il prof. Cacciaguerra di firmare un verbale
unilaterale, scorretto e da suicidio?!… che secondo lo stesso Preside avrei
dovuto sottoscrivere come coordinatore, pur avendomi da tempo tolto, di fatto,
la fiducia?!… -e rivolgendomi al prof. Piantoni- Si ricorda di aver detto di
credere alla sua segretaria e non a me?!… Come mai, stante questa situazione,
non mi ha ancora sollevato dall’incarico di coordinatore!… Lei non applica
la normativa!… Preside, qui la cosa è grave!".
"Segretaria,
metta a verbale quanto dichiarato dal prof. Baldinu: Preside, qui la cosa per lei si fa grave!" fu ancora una volta
l'unica preoccupazione del prof. Piantoni.
Era
per me ormai chiaro che il Preside tirava le fila di tutto quel teatrino.
Contrariato,
ma anche divertito di trovarmi all'improvviso di fronte ad un piccolo tribunale
inquisitorio costituito da affiatati compari, all'evidente scopo di intimorirmi
e dissuadermi dal proposito di denunciarli per falso, mi convinsi
definitivamente che avrei potuto conservare la mia salute mentale in mezzo a
quella tresca solo usando contro i suoi protagonisti le stesse armi che essi
stavano usando contro di me e vale a dire: informazioni confuse, ambigue,
equivoche o addirittura menzognere, in linea con l’intuizione avuta durante il
Consiglio di Classe.
“Qui
–pensai- se non sto al loro gioco, va a finire che ci rimetto anche l’altro
occhio”.
Guardai
i tre con la faccia allucinata, sgranando gli occhi.
Quelli
del Preside, della vice e della segretaria si allargarono a loro volta per
"simpatia".
"Non
fissatemi così! -invocai-… Io stamattina ho fatto la doccia e mi sono
tagliato le unghie dei piedi: sono cose che in genere i pazzi non fanno!".
Mostrai
subito un'immagine di Don Bosco, invitando il Preside a riconoscerlo, indicai
sul retro un testo attribuito al Santo e riferii di alcune posizioni sui giovani
contenute nel programma politico di Rifondazione Comunista, prospettando su
quelle basi la nascita di un nuovo partito, il P.M.I. (Partito Morale Italiano).
"Lei
va in giro portandosi dietro un santino?!" osservò il prof. Piantoni.
"Questa
Scuola porta o no il nome di Don Bosco?!… Gli alunni mi hanno detto di non
sapere quasi nulla su di lui: così sto raccogliendo del materiale per un'unità
didattica sul Santo!".
"Come
concilia le idee di Don Bosco con quelle di Rifondazione?" domandò il
Preside.
Tentai di ripararmi dietro l'immagine del Santo (foto sotto)
e lessi:
La porzione dell'umana società,
su
cui sono fondate le speranze del presente
e
dell'avvenire, la porzione degna
dei
più attenti riguardi è senza dubbio
la
gioventù.
Se
la gioventù sarà correttamente educata,
vi
sarà ordine e moralità;
al
contrario: vizio e disordine.
Io
ho consacrato tutta la mia vita al bene
della
gioventù, persuaso che dalla sana
educazione
di essa dipenda la felicità
della
nazione.
Per
questi giovani orfani abbandonati,
farò
qualunque sacrificio:
anche
il mio sangue darei volentieri
per
salvarli.
"Ecco
-continuai-… questo è un piccolo programma che qualsiasi partito potrebbe
condividere, dunque anche Rifondazione Comunista!".
"Lei,
Baldinu, è comunista?".
"No…
lo sono stato per dieci anni… dal '76 al '85… ora non sono iscritto ad alcun
partito, ma presto, come le ho detto, ne fonderò uno… il Partito Morale
Italiano, appunto!…".
Esterrefatto
più che mai, il prof. Piantoni:
"E
tutto questo cosa c'entra con la contestazione di addebiti?".
"Vede,
in un'altra Scuola mi è capitato alcuni anni fa che un Capo d'Istituto, dopo
avermi prodotto una contestazione di
addebiti, abbia tentato di impedirmi una difesa coerente convincendo un suo
collaboratore e una mia collega a non avvallare le controdeduzioni…".
"E
chi sarebbe questo Capo d'Istituto?", m’incalzò il prof. Piantoni.
"La
Preside Oriella Borghi!… La conosce?".
"Sì…
è una mia cara amica!… E come è finita la cosa?".
"Purtroppo
andò male per la prof. Borghi: il collaboratore e la collega un po' eccitati
sottoscrissero ben tre dichiarazioni, non accorgendosi che con la seconda
l’uno, il prof. Sottocorno, giustificando l’altra, la prof. D’Amico,
invece di smentire le mie controdeduzioni avvallava in pieno una decisione
(causa del disguido contestato) perfettamente in linea con un’indicazione
dell’uno e con un conseguente comportamento dell’altra.
"Lei
sta supponendo che anch'io come l'Ariella Borghi le abbia impedito di
difendersi?" replicò il prof. Piantoni.
"Del
suo atteggiamento nei mie confronti -continuai- ho messo al corrente la Preside
prof. Maria Mazza… non è che per caso avete parlato di me?".
"No!"
ribatté infastidito il prof. Piantoni.
"Sa,
mi è successa una cosa strana ultimamente!… Un mio vicino di casa, col quale
avevo da qualche tempo un rapporto di amicizia (tanto da confidarmi che la sua
fidanzata, maestra tra l'altro proprio a Canonica, è stata compagna di scuola
dell'Ariella Borghi), mi ha restituito la chiave che gli permetteva di entrare
nel mio appartamento per usare la doccia, perché il suo n’è sprovvisto!…
uhm… non vorrei che si sia fatto una copia della chiave per introdursi
furtivamente in casa mia e cercare di sabotare ogni azione difensiva,
trafugandomi prove importanti!"
Esposto
tutto questo, pregai il Preside di aiutarmi a risolvere i miei gravi sospetti,
quei dubbi e le preoccupazioni.
Ma egli ”a quel punto tentò di troncare il discorso facendo osservare molto terra
terra che l'avvertimento scritto mi
sarebbe comunque stato consegnato in mattinata come conseguenza della mancata
risposta, nei termini prescritti, alla precedente contestazione di addebiti”
(lettera "i"
dell'esposto).
Di
fronte allo sprezzante accanimento del prof. Piantoni (se egli fosse stato in
buona fede, avrei dovuto veramente apparirgli precipitato in un grave
stato di confusione, tanto da richiedere un comportamento di soccorso in primo
luogo proprio da parte sua), parendomi chiaro un tentativo di prostrarmi
psicologicamente, dissi, mentre tamburellavo le dita sulla scrivania, con
sicurezza e definitiva consapevolezza del suo atteggiamento vessatorio:
"Allora,
qui, la scuola salta!".
Se
il prof. Piantoni mi avesse chiesto, com’era anche qui naturale, di chiarire
quest’altra frase (se lo avesse fatto, data la rilevanza, ne avrebbe riferito
alla lettera
l
del suo esposto, dove parrebbe avere tutta l'aria di una minaccia dinamitarda),
non gli avrei certo spiegato dettagliatamente di voler soltanto rendere pubblici
i miei sospetti sul furto della firma con conseguenze prevedibilmente molto
pesanti per lui, nel caso fossi stato in grado di dimostrare la sua
colpevolezza, una volta accertato un simile crimine; bensì gli avrei fatto
capire (senza inventare niente) che quella era una semplice constatazione di
quello che mi stava succedendo. Ma il naturale e prudente accertamento sul
significato del "salta" non fu seduta stante avviato dal Preside,
evidentemente già perfettamente messo al corrente sul reale e rassicurante
senso da attribuire a quella parola, perché nello stesso preciso modo mi ero
espresso, in data 29 ottobre, con la prof. Tinaglia e col prof. Cacciaguerra.
"Scriva,
segretaria -replicò immediatamente il prof. Piantoni-… il prof. Baldinu
afferma che, qualora gli venga consegnato l'avvertimento scritto, la scuola
salta".
Mi
alzai, barcollando incredulo: finzione e realtà erano intrecciate
perfettamente.
E,
mentre la responsabile amministrativa verbalizzava, il Preside esclamò con tono
di commiserazione compiaciuta:
"Che
peccato! … che peccato!".
Mi
affrettai ad uscire dalla presidenza, per non vomitargli addosso.
Nell'atrio fui fermato dalla prof. Tinaglia che mi consegnò copia di un suo esposto al Preside, dove sosteneva che "La sottoscritta… il giorno 29/10/1996 si è sentita aggredita verbalmente dall'insegnante Baldinu Salvatore, perché costui mi ha chiesto con arroganza l'originale della programmazione del laboratorio artistico." (documento 22).
Presi dalla cartella la programmazione del laboratorio artistico (documento 7) e un compito corretto di un'alunna (documento 23).
"Lo
hai scritto tu questo testo?" chiesi ad un'alunna, mostrandole il documento
scritto con la stessa grafia del suo elaborato.
"Sì!
-rispose la ragazza-… mi ha chiesto di farlo la prof. Tinaglia".
"La
penna che hai usato era ad inchiostro normale o di quelli che si possono
cancellare?".
"Era
un pennarello, un tratto-pen!".
"Lo
hai scritto su un lucido o su un foglio di carta?".
"Su
un foglio a righe".
"Vado
un attimo dal Preside!".
A
quel punto alcuni ragazzi affermarono che volevano seguirmi.
Ordinai
che nessuno si muovesse dal proprio posto ed uscii.
In
presidenza sottoposi al prof. Piantoni l'elaborato della ragazza e la
programmazione fattami firmare dalla collega Tinaglia.
Chiesi
così al Preside (ancora insieme alla segretaria e alla prof. Pezzani) di poter
controllare l'originale.
Il
prof. Piantoni, disse di non capire. Gli resi espliciti i miei sospetti sul
furto della firma o del tentativo di farmelo credere.
Rispose
che lui non aveva l'originale. Di colpo alcuni alunni della 3^B entrarono in
presidenza.
Il
prof. Piantoni mi accusò di aver trascinato la classe fuori dell’aula.
Gli
feci osservare che la cosa era molto indicativa, senza specificare perché (per
fargli credere di aver bevuto che i ragazzi si stessero mobilitando in mio
favore, mentre mi ero accorto benissimo che uno dei bidelli li aveva attirati
apposta).
Non
mi chiese la ragione (dunque lo avevo rassicurato di avermi fatto fesso).
Dopo
aver detto ai ragazzi di uscire dalla presidenza e di ritornare in aula, invitai
il Preside a far verbalizzare anche i miei sospetti circa un furto della firma.
“Se
le firme non saltano fuori, avviserò i Carabinieri” dissi, uscendo dalla
presidenza, e raggiunsi la classe.
I ragazzi chiesero di essere informati sulla situazione; e io, di fronte alla loro insistenza, presi lo spunto per introdurre una lezione su lettere e documenti (vedi Argomenti delle lezioni, 4^ e 5^ ora di lunedì 4 novembre, documento 24).
Analizzai
i comportamenti strani della prof. Tinaglia, durante la prima attività del
laboratorio artistico di giovedì 24 ottobre, ipotizzando che la collega urlasse
e pestasse solo per distrarmi e tanto da permetterle di sottrarmi una firma su
un documento diverso dalla programmazione del laboratorio artistico (e, quindi,
senza dubbio per me compromettente) o, peggio ancora, su un foglio bianco:
tecnicamente l'operazione avrebbe potuto aver successo sovrapponendo diversi
fogli in modo tale che di quelli sottostanti non si vedesse il testo completo,
ma solo la riga su cui apporre la firma. Tentai così di far capire alla classe
la gravità dei miei sospetti e le conseguenze verso le quali sarei potuto
andare incontro, se quei dubbi non fossero stati sciolti al più presto.
“In
questo modo –spiegai- si può perfino assassinare una persona, facendo
credere, proprio attraverso un testo inconsapevolmente firmato, che si tratti di
un suicidio. Ecco -conclusi- perché è necessario che io controlli tutte e tre
le copie che ho creduto di firmare: perché, verificando che le mie tre firme
siano tutte lì, proprio e solo su quelle tre copie, mi tranquillizzerei che
nessuna sia stata fatta finire da qualche altra parte".
Verso mezzogiorno, durante un via vai di alunni che chiedevano continuamente di andare ai servizi (mal celando lo scopo di conferire col Preside) mi fu consegnata una busta gialla con su scritto "Raccomandata a mano n.7": dentro trovai l'"AVVERTIMENTO SCRITTO" (documento 25).
Dopo
averlo letto di fronte alla classe ormai perfettamente al corrente di tutto,
recitai con un gesto plateale:
"A
me i corrotti non fanno paura!"; e lo ridussi in pezzi, cestinandolo.
Terminate
le lezioni del mattino, all'uscita, mi affacciai in segreteria, esclamando con
voce melodrammatica:
"Che
peccato!… che peccato!".
Fuori,
un alunno, Paolo Bosco, residente a Fara d'Adda, mi chiese di dargli un
passaggio: rifiutai. Dovevo aspettarmi di tutto: mi mancava solo un'accusa di
abuso su minori per avere a portata di mano una bella frittata.
Nel
pomeriggio chiesi allo stesso ragazzo davanti ai compagni se mai qualcuno gli
avesse suggerito di farsi accompagnare in macchina da me. L'alunno negò a
parole, ma giudicai che lo sguardo lo avesse tradito.
Decisi,
passando oltre, di cominciare la lezione e aprii il libro di Antologia a pagina
122 sul brano, La prima settimana di
lavoro, tratto da un romanzo di Carlo Bernari. Dopo la lettura invitai gli
alunni a lavorare sul testo: l'attività procedette regolarmente e si concluse
senza problemi. Il prof. Cacciaguerra, che doveva condurre in compresenza con me
il "laboratorio cinematografico" nell'ora successiva, affermò che non
aveva più voglia di sgolarsi durante la visione del film, chiedendomi se avessi
preparato qualche altro argomento con cui impegnare la classe (vedi
Argomenti delle lezioni, 6^ e 7^ ora di
lunedì 4 novembre, documento 24).
"Posso
far svolgere -risposi, proponendolo alla classe- il compito assegnato per casa e
in pratica: inventare un seguito per l'esperienza lavorativa di Teodoro
Barrin, il protagonista della vicenda appena letta!".
Gli
alunni più vivaci dissero subito di no, promettendo che sarebbero stati buoni
durante la visione del film; ma il prof. Cacciaguerra scattò, urlando con una
voce così stridula, che il mio orecchio sinistro, colpito in pieno, fischiò
per alcuni minuti. Messo a tacere il dissenso, il collega m’invitò a far
svolgere il lavoro proposto; quindi mi offrì un caffè e uscì dall'aula,
affermando che me lo avrebbe mandato con una bidella.
"Ragazzi,
riprendete il testo e il quaderno di Antologia e mettetevi al lavoro!".
"Professore,
siamo stanchi!… abbiamo già letto e scritto prima!…".
"Ragazzi,
il laboratorio non può svolgersi senza la presenza del collega!…
dunque?!".
"Professore,
possiamo discutere?… possiamo continuare a parlare di quello che è successo
stamattina?".
Entrò
una bidella con il caffè:
"Glielo
manda il prof. Cacciaguerra!… glielo appoggio sulla cattedra… il suo collega
arriverà fra qualche minuto".
Uscita
la bidella, uno dei ragazzi gridò:
"Professore,
non beva… c'è la droga!".
La
classe scoppiò a ridere.
"Voi
scherzate… con i tempi che corrono c'è da aspettarsi anche questo!"
"Professore,
davvero pensa che qualcuno voglia avvelenarla?!".
"In
effetti, dopo quanto successo stamattina, bisognerebbe che stia in guardia!…
ma forse qualcuno vuole solo farmelo credere, per tenermi in tensione e farmi
commettere qualche sciocchezza!… Questo potrebbe valere anche per la firma che
non si trova!… Però, ora che mi avete fatto venire il dubbio, io quel caffè
non lo bevo proprio!".
"Se
non lo beve lei, possiamo berlo noi?".
"Sì,
voglio proprio vedere se qualcuno ha il coraggio!".
Francesco
Durali, il più estroverso, vi avvicinò con decisione alla tazzina e in tre
sorsate ne trangugiò il contenuto.
"Speriamo
che ci abbiano messo davvero qualcosa che possa riuscire a calmarlo"
pensai!
A
quel punto rientrò il prof. Cacciaguerra.
"La
classe -dissi, rivolgendomi al collega- non vuole darmi ascolto… alcuni dicono
di essere stanchi… altri vogliono discutere d'altro… altri ancora fanno gli
spiritosi… insomma dimmi tu cosa bisogna fare… io qui mi sono
stancato!".
Poiché
il prof. Cacciaguerra non rispondeva, mi rivolsi agli alunni:
"Se
il problema sono io, ditemelo tranquillamente e me ne vado via subito… vorrà
dire che mi cercherò un'altra Scuola… o chissà, forse un'altra
occupazione… sono ormai più di otto anni che insegno e non ho mai avuto
problemi con nessuna classe!… Ragazzi, se si continua così, io rinuncio e me
ne vado!".
Silenzio
totale. Il collega continuava a tacere. Cercai il suo sguardo per valutarne il
giudizio. Si decise ad alzare gli occhi, li piantò sui miei e un secondo dopo
li cacciò sul soffitto, descrivendo con la testa una mezza piroetta, che riuscì
a completare, aiutandosi col corpo.
"Come!…
-ripresi con tono alterato dalla recitazione- non dite niente?!… Beh, a questo
punto me ne vado proprio immediatamente!… Grazie di tutto!… auguri e
ciao!".
Raccolte
con furia tutte le mie cose (registro, libro e borsa), uscii con passo pesante
dirigendomi verso la segreteria. Qui, per fugare ogni dubbio sulla serietà
della mia intenzione, chiesi all'applicata il modulo per presentare una domanda
di un periodo di aspettativa per motivi di famiglia: lo compilai nervosamente e
subito dopo lo strappai, ripetendo la scena con una seconda e una terza copia;
poi con i pezzi in mano ritornai in classe.
Gran
sorpresa generale, soprattutto da parte del prof. Cacciaguerra.
"Ho
superato situazioni ben più difficili -dissi ai ragazzi, mostrando i coriandoli
della domanda-… Ci ho ripensato!".
Applauso
e:
"Professore,
non siamo noi… noi siamo contenti se lei resta!… Se ha ragione sulla firma,
andandosene passerebbe dalla parte del torto!".
"Sapete
cosa vi dico?!… adesso sono convito che rimanere al mio posto sia per me, ora
più che mai, un dovere verso di voi".
Il
collega di Educazione Musicale, prof. Cacciaguerra, non si espresse.
Martedì 5 novembre,
mi alzai molto presto, pur avendo dormito pochissimo, e, verso le sei, preparai
la lezione di Geografia. Leggendo una didascalia su una fotografia del cosmo, mi
venne l'idea di richiedere la presenza del Preside in classe, a scopo
distensivo, e così affrontare l'argomento davanti a lui e magari con il suo
contributo.
Una
volta a Scuola feci pervenire al prof. Piantoni l'invito attraverso un alunno,
ma questo riferì che il Preside non intendeva raccoglierlo.
Cercai
di ripetere la richiesta attraverso una bidella, ma nel corridoio non c'era
nessuno; così di nuovo gli mandai un altro alunno con uno dei quotidiani
(Liberazione) che avevo acquistato, per introdurre un'unità didattica sulle
notizie di stampa, al posto del laboratorio tennistico, avendo la collega di
Educazione Fisica scelto di partecipare all'assemblea sindacale (allegato 12).
Il
ragazzo ritornò lamentandosi che il Preside aveva definito gli alunni della 3^B
dei "burattini nelle mie
mani".
"Bene
-risposi-… comunicatelo ai vostri genitori!"
"Possiamo
scriverlo sul diario?!" mi domandarono i ragazzi.
"Fate
pure!… Se il Preside non intende intervenire è giusto che i vostri genitori
ne siano informati".
Replicai
e ripresi:
"Evidentemente
non mi ritiene né un pazzo né un criminale: infatti, io ormai sono per lui un
uomo politico che aspira a fondare un partito, il PMI… Partito Morale
Italiano!".
Dopo questa frase dissi agli alunni di aprire il libro di Geografia a
pagina 24 e lessi la seguente didascalia di approfondimento su L'origine dell'Universo (vedi
Argomenti delle lezioni, 1^ ora di martedì
5 novembre, allegato 24).
Nonostante la
sua estensione, che sfugge ad ogni tentativo di misurazione "umana",
in teoria è stato possibile determinare le dimensioni, l'origine e l'età
dell'Universo.
Secondo una fra le ipotesi più accreditate
(che le rilevazioni effettuate dal satellite americano Cobe
nel 1992 hanno in parte confermato),
l'Universo sarebbe nato 15 miliardi di anni fa in seguito al big-bang, la grande esplosione
da cui ebbe origine la materia che lo compone; e poiché si è notato che gli
ammassi di materia cosmica tendono ad allontanarsi l'uno dall'altro si è anche
parlato di Universo in espansione.
Questo suo continuo "estendersi" potrebbe procedere all'infinito ma
anche rallentare fino ad arrestarsi del tutto: l'Universo allora inizierebbe a
percorrere la strada inversa, "riducendosi" fino ad assumere la forma
dell'atomo cosmico da cui ha avuto origine.
Spiegai
alla classe, con le parole più semplici, che quanto espresso dal testo era
contraddittorio ma che non per questo si doveva considerare inattendibile
l'intera Geografia: e così, perché si ricordassero quella morale, feci
annotare, a matita, sotto l'argomento, la parola "falso". Concluso
quest’argomento, preferii affrontare subito, al posto di Grammatica, la
lettura dei giornali; e, dopo la selezione delle notizie, proposi alla classe di
confrontare fra loro quelle che riguardavano un identico fatto di cronaca: il
risultato fu soddisfacente. Tuttavia, durante l’attività, alcuni alunni
chiedevano continuamente di poter andare in bagno o parlottavano continuamente,
finché uno di loro propose di vedere il film "Shindler List". In
particolare il solito alunno, Francesco Durali, mi rivolse, al riguardo,
richieste sempre più pressanti. Alla fine, visto l'appoggio del resto della
classe, decisi di accontentarlo.
Io
d'altra parte non avevo ancora avuto modo di vedere quel film, ma poiché i
ragazzi sostenevano che ne avevano già visto metà con un'altra collega, non mi
preoccupai più di tanto.
Una
volta in sala della televisione, il film fu fatto scorrere fino alle immagini
che i ragazzi affermavano di non aver ancora visto.
Richiamai
l'attenzione della classe sulla tragicità dei fatti che erano rappresentati: ma
gli alunni si dimostravano turbolenti e ridevano di fronte a immagini di dolore
e sofferenza; li rimproverai.
Di
colpo si presentò una scena che esaltò oltremodo il loro interesse: un uomo e
una donna, a letto, si contorcevano tra lunghi sospiri e gemiti.
I
ragazzi cominciarono a ridere, fare versi e grida d’incitamento.
"Questa
è un'imboscata! -pensai- Ora mi accuseranno di corrompere i minori!"; e
urlai: "Basta! Basta, con la corruzione!".
Feci
spegnere il televisore e riportai gli alunni in classe. Poi mandai a chiamare la
collega che aveva fatto vedere l'inizio del film (durante la mia assenza per
malattia 4-13 ottobre) e, poiché non ce n’era traccia sul registro la invitai
a trascrivere quell'argomento nella sua ora di lezione; mentre io cancellai
quanto in proposito avevo già registrato nella mia, interrompendo la visione
del film.
I
ragazzi a quel punto non mi davano più ascolto; e così, ormai certo che essi
si comportavano seguendo le indicazioni del Preside, dissi con tranquillità:
"Beh,
ora non rimane che pregare!".
Misi
l'immagine di Don Bosco sulle pagine aperte del libro di Geografia e, in
cattedra, tacqui. La classe tacque a sua volta e dopo un po' sentii qualcuno
domandare:
"Professore,
cosa fa?!".
"Prego!"
risposi.
"Noi
cosa facciamo?"
"Ho
fatto chiamare il Preside: lui non vuole venire … fate quello che volete! …
Io prego!”.
"Quali
preghiere recita, professore?".
"Se
volete, ve le detto!".
"Sì,
sì!" gridarono alcune ragazze.
"Allora
scrivete:
Padre
celeste, sia il tuo nome santo:
governa
il cuore mio col tuo consiglio!
Ogni
mia lacrima si trasforma in canto,
perché
mi riconosci come figlio.
Concedimi
il tuo aiuto almeno quanto
agli
altri il mio offrirò; e come un giglio
fiorisca
il mio pensiero nel candore,
felice
per la stima del tuo amore".
"Professore
-esclamò un'alunna- sa che è veramente bella! La ha fatta lei?".
"Sì
… è il Padre nostro "tradotto"
in ottava rima… Ma se volete ve ne detto un'altra!".
"Sì,
sì: la scriva sulla lavagna!".
Riportai,
così, il seguente testo:
Signore,
vorrei essere un bambino
puro
di cuore, ingenuo e generoso;
correre
spensierato in un giardino
di
primavera al sole luminoso;
libero
dal timore di un destino,
che
invecchia ogni adulto sospettoso.
Vorrei
essere un bimbo, o mio Signore,
che
sorride felice del tuo amore.
Ecco…
ne sto preparando una per San Giovanni Bosco… ve la detterò appena la avrò
terminata".
La
campana dell'ultima ora era suonata da qualche minuto e i ragazzi uscirono
subito dopo aver riportato sui loro quaderni l'ultimo verso.
Prima
di andar via, un alunno m’informò che nel pomeriggio si sarebbe tenuta una
riunione dei genitori: chiesi conferma in segreteria.
“Non
ne sappiamo niente” fu la risposta.
Nel
cortile della Scuola era parcheggiata, di fronte alla vetrata della presidenza,
una volante: un carabiniere stava in piedi attorniato dai ragazzi della 3^B.
Mi
avvicinai al milite e vidi all'interno della presidenza alcune persone in piedi:
il Preside, la sua vice, la responsabile amministrativa e un altro carabiniere.
Rimasi in silenzio, finché un alunno mi chiese:
"E'
vero che il Preside è un corrotto?".
Gli
risposi con l’ilarità del volto, pensando:
“Chissà
se le Forze dell’Ordine sono qui proprio per scoprire questo?”.
Il
militare mi guardò; e, a mia volta, lo fissai negli occhi. Poi mentre i
ragazzi, allontanatisi, sostavano presso il cancello, il carabiniere mi chiese
che cosa insegnavo.
“Lettere!”
risposi.
"Simpatici,
i ragazzi!" commentò.
"Eh
sì!" approvai, mentre continuavo a tenere d'occhio i movimenti all'interno
della presidenza; poi, ritenendo inopportuno chiedere al militare informazioni
su ciò che stava accadendo, aspettai inutilmente per un po' che fosse lui ad
accennare qualcosa, quindi, salutandolo con un sorriso, mi allontanai dalla
Scuola.
Da
casa, dopo le 14.00, telefonai a Scuola: una bidella mi confermò la
convocazione dei genitori, precisando che l'assemblea era chiusa agli
insegnanti.
Mercoledì 6
novembre (giorno libero), decisi di
andare ugualmente a Scuola per correggere gli elaborati degli alunni.
Chiesi
del Preside, ma "era impegnato". Ricordandomi di non aver completato
le registrazioni del giorno prima andai in classe e chiesi alla collega di
poterlo fare.
"Il
registro è in presidenza" mi rispose.
Ritornai
indietro e la segretaria affermò che non sapeva dove fosse.
"Forse
lo ha ancora il Preside!" aggiunse.
Andai
in sala docenti e cominciai a correggere gli elaborati. Di lì a poco vidi il
prof. Piantoni passare e gli chiesi il registro. Voleva spiegazioni della mia
presenza: lo informai che dovevo correggere delle verifiche. Mi consegnò il
registro, dove, riflettendo sul comportamento tenuto dalla classe il giorno
prima, annotai:
Disordine
in classe. Dettato di preghiere. Il diavolo fugge alla presenza di San Giovanni
Bosco.
Riportai
il registro in segreteria e ritornai a lavorare sulla correzione dei compiti in
sala docenti.
Il
Preside entrò, mi si piantò di fronte e disse:
"Professore,
lei non può stare qui!".
"Perché?".
"Perché
è il suo giorno libero!".
"E
allora?!".
"Deve
andare via … perché se le succede qualcosa la responsabilità è mia!".
"Mi
succede qualcosa?!".
"Le
ho detto di andare fuori!".
"Senta,
Preside, le ho già spiegato perché sono qui… e, poi, sono o no il
coordinatore della 3^B?!".
Il
prof. Piantoni non rispose.
"Se
è così -ripresi io-… ho un compito da svolgere qui a Scuola anche in ore
nelle quali non ho lezione; e, constatata la situazione particolare della
classe, voglio fare in modo che tutto ritorni su binari di normalità. Voglio
anche osservare il comportamento dei miei alunni durante le lezioni di altri
colleghi in modo tale da impostare migliori strategie educative e didattiche
attraverso una maggiore conoscenza della mia classe, sulla quale non ho lavorato
neppure quindici giorni”.
"Lei
se ne deve andare subito!".
"Senta,
Preside, me lo metta per iscritto citando la normativa!".
A
quel punto egli si allontanò dalla sala.
Continuai
per un po' ancora a correggere, ma non riuscivo più a concentrarmi.
Uscii,
passeggiai un po' per il corridoio e mi accorsi che l’aula della 3^B era
vuota: domandai a una bidella, che m’indicò quella dei laboratori. Bussai ed
entrai: i ragazzi stavano seguendo una lezione dell'attività di orientamento.
Chiesi
ai colleghi se potevo stare: non mi dissero di no.
La
3^A e la 3^B erano compresenti come nella lezione del giorno 29 ottobre.
Verso
le 10.00 si decise di far spostare gli alunni in sala della televisione per la
visione del film di Charlie Chaplin, Tempi
moderni.
Ne
approfittai per dare anch'io un contributo e per gran parte del filmato
intervenni con osservazioni e commenti, collaborando con il collega di
Educazione Tecnica, prof. Dario Lombino, col quale durante l'intervallo mi
intrattenni a discutere sul regista.
Non
era stato possibile vedere fino in fondo il filmato e la cassetta fu bloccata
sull'immagine (indicativa) del "vagabondo" che si accingeva a dare un
saggio della sua capacità di recitazione.
Dopo
l'intervallo ripresi a correggere i compiti: ma dopo mezz'ora volli ritornare
presso la classe durante l'ora di Inglese. Spiegai il perché della mia presenza
(lo stesso motivo esposto al Preside) e la collega non fece obiezioni.
Ottenni,
passati alcuni minuti, anche dalla titolare di Lettere della 2^B di poter
osservare i suoi alunni durante la lezione.
Quando
suonò la campana delle 13.00 ritornai in sala docenti e continuai a correggere
le verifiche della 3^B.
Verso
le 13.30 entrò il Preside accompagnato da una guardia municipale; e prima l'uno
e poi l'altro mi invitarono ad andare via.
Ripetei
al Preside la richiesta di una comunicazione motivata dalla normativa, ma egli
si allontanò lasciandomi con il vigile, che mi prospettò la possibilità di
ricorrere a un intervento di forza.
A
mia volta spiegai all'agente che io non mi sarei opposto alla richiesta del
prof. Piantoni, se egli mi avesse solo scritto su un foglio due righe con una
sua firma, per documentare in quel modo la sua richiesta.
Sopraggiunse
a quel punto un altro signore che si presentò dicendo di essere il sindaco di
Canonica e mi ripeté anch'egli l'invito a uscire dalla Scuola.
Dovetti
presentare anche a lui le mie motivazioni, ma replicò esclamando:
"Veda
di alzare le chiappe entro cinque minuti, altrimenti la farò sbattere fuori con
la forza pubblica!".
"Che
problema c'è -dissi io-… vado via con le mie gambe, voglio solo che la cosa
sia registrata con riferimento a una norma precisa".
Il
sindaco uscì con passo nervoso e rientrò accompagnato da un tale che disse di
essere uno psichiatra della USSL.
L’uomo
mi sottopose il Registro di Classe:
“Ha
scritto lei questa nota? –continuò con decisione-… Me ne spiega il
senso?”.
“Ci
troviamo o no in una Scuola che porta il nome di Don Bosco?…”.
“E
allora?”.
“E’
risaputo che dove c’è un Santo si aggira anche qualche diavolo!… Mi creda
in questa Scuola io un diavolo lo ho proprio visto in azione, affrontato e già
messo in fuga una volta!… Però, se lei ne vuole una prova diretta, ecco
qui… vede questa immagine di Don Bosco?!… ora la mostro al prof. Piantoni,
che si sta avvicinando… Ha visto come è scappato via?!… Se di fronte a
questo fatto mettessimo in dubbio l’esistenza del diavolo, potremmo non
credere più nemmeno ai Santi!… Pensi solo all’inopportunità di un
complicato contenzioso fra laici e credenti!… Quella nota è stata dunque
scritta da me con chiaro intento didattico… e il Preside questo lo ha
perfettamente capito, ma gli conviene evidentemente fingere il contrario!”.
Presentai
quindi al medico le mie ragioni mettendolo in guardia sul comportamento del
Preside:
"Si
rende conto del danno che potrei subire in questo momento a livello psichico?…
per fortuna io ho il Santo che mi protegge!… e così dicendo lessi (anche a
lui!) le parole del salesiano.
L'uomo,
che durante la spiegazione era passato dall’occhio clinico a uno sguardo
meravigliato fino a inchiodarsi nella fissità di un’estasi, con voce
titubante esclamò:
"Anch'io
sono un devoto del Santo!".
"Mi
dice il suo nome!" gli chiesi impietosamente.
E
lo psichiatra:
"No,
io il mio nome non glielo dico!".
Mi
rivolsi allora alla guardia municipale con la stessa richiesta; ma anche
l'agente si rifiutò di presentarsi.
Allora
il sindaco si fece avanti:
"Io
mi chiamo Lorenzo Colombo!… Se lo scriva pure!".
Ed
io me lo annotai.
Per
tutto il pomeriggio il Preside, il vigile e il sindaco (lo psichiatra non si
fece più vivo) mi stettero alle calcagna, in una sorta di pedinamento e di
controllo costante di tutti i movimenti: il signor Colombo, particolarmente
scrupoloso durante l’accompagnamento forzato, mi avvertì che dall’indomani
non ci sarebbe stata più scuola, in quanto chiusa “per turbativa”.
“Così
lei potrà percepire il suo stipendio, standosene comodamente a casa!” mi
annunciò il primo cittadino di Canonica d’Adda.
Di
colpo fui avvertito dalla segretaria che c'era una telefonata per me da parte di
mio fratello.
"Non
è possibile! -risposi-… Cosa c'entra mio fratello: nessuno dei miei parenti
in Sardegna può avermi chiamato qui a Scuola… e perché poi?… Salvo che non
sia successo qualcosa di grave!"
"Venga
al telefono -ripeté l'applicata- perché è urgente!".
Udii
la voce di mio fratello Mario che mi comunicava di essere stato chiamato dal
Preside per convincermi ad andare a casa. Finsi all’inizio di non
riconoscerlo, dato che il prof. Piantoni, il personale amministrativo, il
sindaco e l'agente si erano riversati in segreteria per osservare le mie
reazioni.
"Non
muovetevi di lì! -dissi a mio fratello e a sua moglie, che mi dichiaravano
l'intenzione di venire a prelevarmi-… Cos'è quest'assedio! Voglio essere
lasciato in pace!… altrimenti non guarderò in faccia né amici né
parenti!… Io non ho bisogno di nessuno che mi difenda!… State al vostro
posto!… questa è solo l'ultima provocazione orchestrata dal Preside!";
e, riattaccato il telefono, ritornai in sala dei docenti.
Passò
poco tempo, quando di nuovo mi comunicarono che c'era al telefono mio fratello
Tano.
Parlai
anche con lui: assicurò che sarebbe partito quella notte stessa e sarebbe
venuto da me con un suo amico.
Avvertii
anche lui di starsene in casa tranquillo, cercando di convincerlo che i miei
problemi me li sarei sbrigati meglio da solo.
Intanto
erano trascorse le quattro e le lezioni pomeridiane erano terminate.
Prima
di uscire raccolsi le mie cose (libri, giornali e documentazioni) ed una penna
rossa che restituii alla segretaria porgendogliela come un fiore:
"Ecco
la sua penna rossa!" recitai tra i volti attoniti del Preside e degli altri
convenuti, tutti raccolti in un angolo della segreteria, quasi in posa per una
foto di gruppo alla fine di una festa.
Giovedì 7 novembre,
verso le 07,30 telefonai a Scuola per sapere se fosse aperta (perché il
sindaco, perdurando "le chiappe", aveva prospettato la chiusura della
sede "per turbativa"): era inserito il fax.
Uscii
e mi diressi verso la Chiesa: ascoltai la messa fino alle 7,45; poi decisi di
raggiungere la Scuola a piedi, perché per strada c'era una gran fila di
macchine.
Dal
cancello d'ingresso dell'Istituto vidi gli ultimi ragazzi entrare: erano le
08.00.
Trovai
i miei alunni in silenzio, tutti scambiati di posto e in compagnia del prof.
Piantoni che occupava un banco isolato in fondo tra la prima e la seconda fila.
Ogni alunno aveva di fronte il libro di Storia, aperto alla stessa pagina.
"Oh!
C'è anche il Preside! -esclamai-… Bene!… Ma che bravi questi ragazzi!…
ora sì che riconosco una classe ordinata!… Cominciamo?!".
Così,
dopo una breve lettura da parte di un alunno:
"Quest’argomento
lo abbiamo già trattato! -dissi-… Come mai non avete aperto il libro alla
pagina prevista dal tabellone, che avete realizzato durante il lavoro di
gruppo?".
Nessuno
rispose.
Consultai
allora il cartellone ed indicai l'argomento in programma per quel giorno.
Feci
leggere alcuni paragrafi: e ad un certo punto un alunno (Mario) mi fece una
domanda.
Riconobbi
subito un quesito del testo, al quale era stato risposto nella penultima
lezione: riguardava il persistere o meno della forma del baratto alla fine del
XVIII secolo. Ritenni con prontezza che si trattasse di un’ennesima
provocazione del Preside, che intanto era rimasto nel suo banco a maneggiare
alcune carte.
"Sinceramente
a questa domanda non so rispondere!… ma possiamo farci aiutare dal
Preside!" replicai al ragazzo.
Il
prof. Piantoni si destò dal suo silenzio e:
"Allora
ragazzi!… -proruppe, dirigendosi verso la lavagna-… La rivoluzione
industriale!”; e incominciò ad affrontare un argomento introdotto da me e
concluso già da due settimane.
"Preside,
risponda alla domanda dell'alunno!"; ma lui non raccolse e continuò
tracciando alla lavagna alcuni segni e riportando dei termini specifici.
Poi
affermò di aver fatto due anni di guerra e citò i nomi di alcuni suoi illustri
antenati del XIX secolo.
Finita
l'ora uscì dall'aula.
Giunse
di lì a poco il prof. Cacciaguerra con un registratore.
Era
previsto il laboratorio artistico; ma dopo l'incidente con la collega Tinaglia,
non c'era stata più occasione di definirne un altro. Così lasciai fare al
collega che occupò la cattedra; io, invece, andai ad occupare proprio il posto
che il prof. Piantoni si era scelto come base di lancio della sua performance.
Il
capo d'Istituto rientrò in classe e mi depositò davanti un foglio piegato in
quattro e nel silenzio totale degli alunni si allontanò.
"Bene!
-dissi-… io questo foglio neanche lo leggo!"; e così dicendo lo strappai
e lo gettai fra le cartacce.
Era
ormai chiaro che la situazione era a un punto di non ritorno; ritenni, lo
stesso, di dover sostenere fino in fondo la mia parte: quel comportamento era
l’unico modo per difendermi da chi utilizzava le comunicazioni o gli avvisi
come dei missili; perciò sarebbe stato molto pericoloso che di fronte a tanti
testimoni affrontassi il contenuto di quel foglio-proiettile; al contrario, dopo
il mio gesto, il nemico non avrebbe potuto provocare qualcosa della quale
incolparmi indicando come movente l’ipotetica insopportabilità di quel
messaggio. Confidavo che alla fine il prof. Piantoni avrebbe commesso qualche
grossolano errore: qualche testata troppo potente avrebbe potuto esplodergli
nelle mani.
Un
alunno chiese di uscire; e, subito dopo il suo rientro, il Preside ritornò, si
diresse immediatamente verso il cestino dei rifiuti e di fronte alla classe
v’infilò le mani, recuperando i pezzi del foglio; quindi si allontanò
dall'aula, lasciando la porta aperta.
La
sua vice sostava all'ingresso.
"Questa
è un'altra imboscata! -dissi-… Questa Scuola è in mano a dei criminali
politici. Qui tutti hanno mentito e anche voi ragazzi avete mentito: ma io non
temo i corrotti e denuncerò tutti!".
In
quel momento il prof. Piantoni rientrò in classe, invitando gli alunni ad
uscire e a seguirlo.
Rimasto
solo, riportai sul registro la seguente nota:
Il Preside
genera continui disguidi sullo svolgimento della lezione. Si dispone un posto e
porta personalmente un foglio senza dir niente.
Temendo
qualche altra e più grave provocazione, in quello stato di solitudine tanto
angosciante quanto minacciosa (perché nel caso di un altro attacco non avrei
avuto testimoni), capii che la cosa migliore sarebbe stata quella di tenermi in
stretto contatto con gli alunni: abbandonai perciò l'aula e raggiunsi i ragazzi
nell'atrio. Allora il Preside li fece uscire dal caseggiato scolastico e li portò
fino al cancello. Anch'io uscii dietro gli alunni (per un attimo mi balenò
l'idea di raggiungere la Chiesa di Canonica per continuare a pregare), ma
rientrai subito per comunicare di non star bene e chiedere di andare a casa.
L'applicata
mi fece aspettare, quindi affermò che il Preside era impegnato.
Attesi
per un po', seduto su una specie di panchina senza spalliera, davanti alla
segreteria, quindi mi trasferii in sala-docenti.
Arrivarono due carabinieri: il Preside consegnò al maresciallo Carrozza un fax del Provveditore, accusandomi di averlo strappato; immediatamente, quindi, me ne sottopose una copia integra, perché ne prendessi visione alla presenza del militare (documento 26).
"Firmi
qui per presa visione!" mi disse il prof. Piantoni.
"Ho
visto… non si fida del carabiniere?!".
Il
prof. Piantoni e il maresciallo Carrozza uscirono nell'atrio, dove vidi arrivare
i miei due fratelli, Tano e Mario. L'altro carabiniere, avendomi visto parlare
con loro, si accertò con me della loro identità.
Mentre
Tano era convocato in presidenza, tirai fuori della borsa la programmazione del
laboratorio artistico.
Mario,
rimasto ad aspettare nell'atrio, ad un certo punto mi avvertì che ero stato
chiamato in presidenza.
Lì
trovai il prof. Piantoni, la sua vice, la segretaria, il maresciallo Carrozza,
l'ispettore tecnico dott. Pasquale Del Giudice, inviato dal Provveditore, e mio
fratello Tano.
Senza
aspettare che l'ispettore parlasse, mi feci avanti e gli sottoposi la
programmazione del laboratorio artistico, chiedendone la matrice, cioè il
foglio a righe originale sul quale, prima, essa doveva essere stata stesa, per
farne, poi, altre due copie (una era proprio quella che gli stavo mostrando); e
affermai che l'unico modo per verificarne l'autenticità fosse che anche sul
retro comparissero delle righe in sovrapposizione millimetrica a quelle della
parte anteriore. Quindi avrebbe dovuto saltare fuori ancora l'altra copia.
L'ispettore rispose di non capire e cominciò a rivolgermi delle domande leggendomele da una lista e pretendendo che rispondessi sì o no, sulla base di una decina di quesiti evidentemente suggeriti dal Preside appena il giorno prima a quattro genitori (dei quali solo uno era rappresentante nel Consiglio di Classe) e fatti firmare a tutti gli altri attraverso una scontata coazione psicologica (documento 27).
Bollai
con un “falso” il contenuto di ogni suo quesito, rifiutando quel tipo
d’interrogatorio da Inquisizione, che non ammetteva spiegazioni; e lo informai
dei miei sospetti circa il furto di una firma. Fui invitato ad uscire.
Aspettando
fuori rividi il sindaco aggirarsi nell'atrio e, divertito, gli chiesi:
"Allora
chi erano quelli là, ieri… la CIA e il KGB?!".
Poi,
nella sala delle riunioni dei Consigli di classe, raccontai a Mario che il primo
cittadino di Canonica d'Adda, con il quale egli s’intratteneva compiaciuto a
ridere e scherzare, mi aveva, appena il giorno prima, molto educatamente
invitato a "levare le chiappe".
Il
signor Lorenzo Colombo non rispose e Mario scosse la testa, non sapendo che
pesci prendere.
Fui
nuovamente convocato in presidenza: si era aggiunta la prof. di Ed. Artistica,
Giuditta Tinaglia.
A
lei, di fronte a tutti gli altri già precedentemente presenti, chiesi:
"Chi
ha scritto questo testo?".
La
collega:
"Mia
sorella!".
"Tu
menti!" replicai.
"Questo
lo ha scritto Fabiana Sanfilippo!… Perché menti?".
La
prof. Tinaglia non rispose.
Mi
rivolsi all'ispettore, esortandolo a interrogare la collega; ma il funzionario
prese in mano lo scritto e cercò di analizzarlo; poi sbottò:
"Qual
è il problema?… Che differenza c’è fra questa copia e l'originale?".
Cercai,
allora, di far capire in parole povere al dott. Pasquale Del Giudice che il
controllo dell'originale mi avrebbe permesso di concludere se ero stato vittima
di un furto della firma o di una simulazione (delle due l'una: poiché ancora
non mi era concesso di procedere ad una verifica); e che gli autori dell'una o
dell'altra bravata (gente ben individuabile in quell'ambiente, che fin dal primo
giorno si era mostrato ostile verso di me) avrebbero, nel primo caso, potuto
provocarmi un danno in maniera diretta, e, nel secondo caso, mi avrebbero
causato conseguenze non meno gravi attraverso un eventuale stato d'ansia, così
da potermi rendere più vulnerabile ad un colpo decisivo.
"Non
riesco a capire a cosa serve l'originale!" riaffermo l'ispettore, senza
alzare la testa dal foglio.
"Mi
prende per un mentecatto?… Chieda al Preside chi è il coordinatore della
3^B".
"Chi
è il coordinatore?" chiese il dott. Del Giudice.
Il
prof. Piantoni, con gli occhi fuori delle orbite, balbettò:
"Il
coordinatore è …"; e si bloccò.
Dopo
mezzo minuto, finalmente interruppe l'apnea e completò:
"…
è il professor Baldinu!".
"Secondo
la normativa –conclusi-, la nomina del coordinatore del Consiglio di Classe è
di competenza del Preside, che lo sceglie tra i docenti di sua fiducia. E'
chiaro che il prof. Piantoni la normativa non la conosce o non la osserva:
infatti, ha appena affermato che io sono il coordinatore di una classe della sua
Scuola, in altre parole un docente di sua fiducia, nel pieno di un procedimento
d’ispezione a mio carico avviato per sua stessa iniziativa".
"Internatelo!"
ordinò con un grido il prof. Piantoni.
Lo
puntai dritto negli occhi: il maresciallo Carrozza ipotizzando (a torto!) una
mia reazione violenta, con lodevole senso della prevenzione, mi cinse con un
braccio da una spalla all'altra e mi accompagnò fuori di quella presidenza, per
l'ultima volta. Per un secondo vissi l'arresto.
Erano
le 13.00 quando fra Tano e Mario attraversai l'atrio della scuola, l'ingresso,
il cortile e i volti incantati di alcuni miei alunni.
Raggiunto
il Mercedes a passi forzati, fui costretto a salirvi. Per un giorno vissi il
sequestro.
Lunedì 11 novembre, appresi per telefono dal vice-provveditore dott. Pietro Snaiderbaur di essere stato licenziato, in conformità ad una "relazione" dell'Ispettore, con un decreto del Preside e con la motivazione di "scarso rendimento", per evitare di essere sottoposto a visita collegiale psichiatrica e di essere destituito per sempre dall'insegnamento (documenti 28 e 29).
FINE DELLA PRIMA PARTE
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